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L’aria era irrespirabile. La sabbia si diffondeva in tutta la città, prima nel vecchio quartiere operaio di periferia e ora anche nelle villette di Albany Road. La poca luce che arrivava dal sole ormai quasi tramontato creava dei riflessi gialli opachi sui granelli di sabbia sparsi tra le nuvole. Erano tutti barricati in casa ad aspettare che la tempesta finisse, al massimo ventiquattro o trentasei ore prevedevano gli esperti.

Jacob guardava dalla finestra l’enorme massa gialla che ruggiva sopra la città, pronta a inghiottirla in pochi minuti.

”Allontanati subito dalla finestra”.

”Si mamma” rispose chiudendo le tende e sopprimendo quella poca luce che ancora illuminava il salone.

Si diresse verso le scale lanciando una rapida occhiata alla cucina dove sua madre preparava la cena. La scala scricchiolava sotto il peso dei suoi passi. Forse era il caso di chiamare qualcuno ad aggiustarla, ma tanto ci avrebbero pensato i suoi genitori. Jacob entrò in camera, passò in rassegna i suoi cd di musica rock e dopo un’attenta selezione si stese sul letto con indosso le cuffie e gli AC/DC sparati a tutto volume nelle orecchie. La tempesta proprio durante le vacanze di natale non ci voleva. Erano pochi i giorni in cui tornava a casa e passarne uno rintanato non gli andava. Soprattutto se pensava che da lì a una settimana avrebbe dovuto chiudersi in casa per studiare l’esame di economia aziendale, l’ultimo per concludere il semestre. Perso in questi pensieri si addormentò come un bambino nonostante la chitarra di Angus Young continuasse a rimbombare nelle sue orecchie.

Si svegliò all’improvviso, convinto di avere sentito un rumore dal piano terra. Il cd era finito e la musica aveva smesso di ronzargli nelle orecchie. Mise su un paio di scarpe da ginnastica e scese le scale in perlustrazione. Un altro rumore sordo. Un rivolo di sangue scivolava tra le mattonelle della cucina facendosi spazio fino al salone. Era di un rosso scuro, quasi come un melograno. Jacob poteva sentire l’odore di sangue misto a paura che infestava la casa. Ancora un altro tonfo, come lo sbattere di qualcosa. I piedi iniziavano a non rispondere più ai suoi comandi, bloccati come se fossero stati chiusi in due blocchi di cemento. La vista di quel sangue non presagiva niente di buono e lui lo sapeva. Facendosi forza, un passo dopo l’altro si avvicino all’entrata della cucina dove aveva visto sua madre per l’ultima volta. Quello che vide non lo avrebbe certo dimenticato.

Una mazza grondava di sangue che gocciolava copiosamente formando quel rigagnolo che scorreva fino al salone. Dei piccoli brandelli di carne, o almeno questo pensò Jacob, erano attaccati su tutta la superficie del martello che con ogni probabilità provocava i rumori che lo avevano svegliato. Lo teneva in mano un uomo, se così si poteva definirlo, con indosso degli stivali in pelle in parte coperti da lunghi pantaloni neri. Nessun vestito gli copriva il torace, le gocce di sudore splendevano sotto il riflesso della luce della lampada. Jacob era paralizzato non tanto per il sangue ma per la faccia di quel uomo. Lunghe corna bianche si alzavano verso il soffitto. Gli occhi non si vedevano. Il viso era nascosto da una maschera, un teschio di bufalo che rendeva l’uomo più simile a un demone. Non si era accorto di Jacob e continuava a roteare il martello colpendo quel che rimaneva della testa della madre, spruzzando sangue su tutti i mobili della cucina ormai cosparsi di un fluido rosso e da brandelli di carne. Il suo cervello era sparso per la cucina e grossi pezzi di materia cerebrale rimanevano attaccati alla mazza che continuava a colpire senza fermarsi. Jacob vomitò. Forse non si era ancora svegliato, forse era un brutto sogno, ma quello che vedeva sembrava terribilmente reale. Il rumore dei succhi gastrici a contatto con il pavimento raggiunse la belva che fermò la mazza a mezz’aria e si girò rapidamente verso di lui. Jacob non riusciva a muoversi, il cervello aveva smesso di lavorare. La belva pulì la mazza sui vestiti della donna. Era di nuovo lucente, pronta a sporcarsi ancora.

***

Il rumore della serratura fermò il tempo. Il padre di Jacob stava rientrando dal lavoro. Aveva deciso di andare a dare un’occhiata al negozio di giocattoli anche se, con natale ormai passato, la corsa ai regali si era fermata e come tutto il resto dell’anno di clienti se ne vedevano pochi. Il negozio non stava andando benissimo, ma natale era sempre natale. Gli affari aumentavano e tutti si ricordavano di quel piccolo posticino su Lomey Street per qualche giorno prima di scordarsi della sua esistenza appena finite le feste.

”Certo i miei giocattoli non sono fatti di quella plasticaccia che si vede in giro” diceva sempre suo padre.

La mazza lo raggiunse qualche centimetro sotto l’orecchio fracassandogli il cranio non appena ebbe messo un piede in casa. Il sangue inizio a schizzare dalla ferita mentre gli occhi dell’uomo fissavano quello strano teschio di bufalo che lo aveva appena colpito. Accasciatosi per terra, l’uomo cercava di mettere in fila pensieri ma non riusciva, la paura aveva già preso tutto quello che restava del suo corpo. La belva fece fare un altro giro alla mazza e sferrò un secondo fendente. Questa volta fu più preciso colpendo in piena fronte, poco sopra il naso. Uno spruzzo di sangue misto a cervello finì sulla maschera, sporcandone il bianco ingiallito e rendendola ancora più ammaliante.

”Papà” urlò Jacob da dietro la porta.

L’adrenalina era entrata in circolo, il suo fisico rispondeva di nuovo ai comandi. Un terzo colpo sparse quello che restava della testa del padre per la cucina. Jacob girandosi in un unico istante si buttò verso la porta del salone, l’unica via di fuga che vedeva. Ci volle qualche secondo per abituarsi alla luce bassa del sole, ma appena gli occhi furono pronti iniziò a correre a perdifiato. Doveva pensare a dove rifugiarsi o forse poteva continuare a correre il più lontano possibile finché le gambe non avrebbero ceduto. Alla fine della strada vedeva un signore che scendeva dalla sua auto, prendeva la valigia dal cofano e si incamminava nel vialetto per tornare a casa dalla sua famiglia. Jacob correva a più non posso agitando il braccio cercando di farsi vedere dall’uomo. Era la sua salvezza. Doveva solo convincerlo a mettere in moto l’auto.

”Ehi, apri la macchina, apri la macchina cazzo” gridò Jacob.

Ora che si avvicinava, il volto dell’uomo aveva un’aria familiare. Era il Signor Donovan, abitava con la moglie e le figlie alla fine di Albany Road. Aveva una bella casa, una bella famiglia, un buon lavoro. Era il classico uomo di mezz’età che si dirigeva verso la pensione, nella sua banale esistenza di impiegato in banca. Si voltò sentendo il grido di Jacob che proveniva da qualche centinaio di metri di distanza.

”Non ho sentito niente” disse il Signor Donovan con una mano attorno all’orecchio, pronto per captare meglio le parole di Jacob.

”Apri quella fottuta macchina”.

Il Signor Donovan non sentì le parole di Jacob. La lama di un ascia si piantò nel lato destro del collo dell’uomo, quasi tranciandogli di netto la testa. Jacob vide le corna, la maschera, il sangue che zampillava. Erano in due. Forse più di due. ”Li ha portati la sabbia” pensò. Non c’erano dubbi.

***

Jacob prese la strada a destra. Conosceva bene quella zona, da piccolo giocava sempre da quelle parti con i suoi amici. La sabbia era dappertutto e iniziava a rendere difficili i movimenti.

”Sembra un cazzo di deserto qui” pensò Jacob.

Ai lati delle strada si erano formati degli strati di sabbia spessi che si muovevano ad ogni alito di vento. Un urlo stridulo e spaventato arrivo da una delle case di Steven Street dove Jacob continuava la sua corsa. Le urla iniziavano a diffondersi anche da altre abitazioni. Avevano approfittato della tempesta per attaccare la città. Tutti erano dentro le proprie case per il coprifuoco ed era stato molto facile colpire con precisione. Le gambe iniziavano a fargli male, l’aria nei polmoni stava pian piano finendo. Doveva ringraziare gli allenamenti del Coach Davis se non era ancora morto. Le ore passate in palestra a correre e a roteare la mazza da baseball gli consentivano ora di non fermarsi e non guardare indietro. Doveva però pensare a qualcosa, non poteva continuare a vagare per l’eternità. Prese a sinistra, poi di nuovo a destra e imboccò una lunga via piena zeppa di negozi. Era in Lomey Street. Si diresse verso il negozio di giocattoli del padre che non distava molto. Una copia della chiave era sempre nascosta sotto il vaso vicino all’entrata. Poteva anche buttare giù la porta, suo padre non avrebbe protestato. Almeno non ora che aveva la testa fracassata.

Jacob entrò chiudendosi la porta della piccola bottega alle spalle. Accese la luce ma la spense dopo pochi secondi rendendosi conto che non doveva attirare l’attenzione. Aveva prima di tutto bisogno di un arma o qualcosa con cui difendersi. Una delle mazze da baseball che vendeva suo padre poteva andar bene. La trovò nello scaffale vicino alla cassa. Decise che si sarebbe nascosto lì, sotto il bancone. Doveva pensare.

Appoggiò la mazza per terra, si sedette poggiando la schiena al muro e si dissetò con una delle bottigliette che suo padre teneva sempre sotto il registratore. Poteva nascondersi nel negozio fino a che la tempesta non fosse passata. Un giorno o due lì dentro poteva resistere. Ma le belve avrebbero rastrellato ogni posto, come già stavano facendo. Non poteva rimanere lì a lungo e farsi cogliere impreparato senza via di fuga. Doveva prendere una macchina. Si, come voleva fare con il Signor Donovan se solo avesse avuto un udito un po’ più sviluppato. Forse poteva ancora usare proprio quella di Donovan. Era stato ucciso di fronte all’auto e a meno che non fosse stato spostato, forse era ancora lì davanti con le chiavi nella tasca dei pantaloni.

Le urla iniziavano ad arrivare dalla strada. La città era infestata di sabbia e teschi umani. Non sarebbero rimasti in tanti se la tempesta fosse durata uno o due giorni come previsto. La polizia aveva diramato il coprifuoco e anche gli agenti si erano sicuramente rifugiati in casa con le loro famiglie. Non si poteva contare sull’aiuto di nessuno. Erano tagliati fuori da tutto, per tutta la durata della tempesta erano soli. Soli e pronti per essere massacrati.

Decise che sarebbe uscito all’alba. Anche lui poteva usare l’effetto sorpresa. O almeno era quello che credeva. Avrebbe avuto bisogno di una mascherina o qualcosa per non mangiare tutta quella sabbia che volava per aria. Non gli restava che aspettare, chiuso nel suo rifugio, pronto per la fuga. Voleva piangere ma era troppo nervoso per poterlo fare. Era continuamente in allerta, pronto a captare qualsiasi rumore o movimento. Gli occhi erano ormai abituati al buio anche perché il sole era tramontato da un pezzo lasciando la città al buio e avvolta da una spessa cortina. Forse avrebbe dovuto cercare nei cassetti qualcosa da mangiare. Ci avrebbe pensato dopo si disse. Con tutto quello che aveva visto mangiare era l’ultimo dei suoi pensieri.

***

Erano da poco passate le cinque del mattino. Jacob era riuscito a riposare quel tanto che bastava per essere di nuovo attivo. Aveva trovato un panino e del latte nel frigorifero nel piccolo retrobottega. Suo padre non sarebbe mai rimasto a corto di cibo. Aveva comprato il piccolo frigo nonostante in quella stanza ci fosse pochissimo spazio.

Dopo aver trangugiato tutto aveva cercato di riposare nel suo angolo sicuro. La tensione era troppa per poter chiudere occhio. Le urla che provenivano da fuori non lo avevano aiutato. Aveva pensato a tutte le sue opzioni ma solo prendere l’auto del Signor Donovan gli sembrava ragionevole. Era l’unica auto di cui aveva visto le chiavi e che forse avrebbe ritrovato proprio lì a due passi dall’utilitaria. Certo, doveva tirarle fuori dalla tasca di un morto. Ma questo passava in secondo piano. Il vero problema era arrivare all’auto. Doveva fare la strada all’indietro, una svolta a sinistra e una a destra per poi imboccare Albany Road e dirigersi a tutta velocità all’auto. A giudicare dai lamenti e ululati che aveva sentito le belve con la maschera di teschio dovevano essere parecchie. Chissà che cosa volevano o chi erano. Sapeva solo che doveva fuggire il prima possibile.

Jacob guardò l’orologio per l’ennesima volta. Segnava le cinque e trentaquattro. I primi raggi del sole iniziavano a filtrare dalla finestra che dava sulla strada. La sabbia continuava ad avvolgere la città. Sarebbe stato più difficile correre rispetto alla sera prima. Ora si riusciva a mala pena a vedere qualche metro più avanti. E senza una maschera era difficile respirare. Si legò una bandana per pirati, che aveva trovato nel reparto costumi di carnevale, sopra la bocca e il naso per cercare di evitare di dover mangiare i granelli di sabbia mentre correva. Prese la mazza da baseball, fece un bel respiro e si alzò lentamente cercando di non fare rumore. Si avvicinò alla vetrina rimanendo dietro uno stipite per non farsi vedere. La strada era deserta. Nessun teschio, nessuna persona. Solo sabbia. E sangue. Si vedevano alcune strisce di sangue sulla strada e sui marciapiedi. Ma nessun corpo. Sembrava che i morti fossero stati trascinati e la traccia rossa ne era la prova. Abbassò la maniglia della porta talmente piano da non sapere se fosse aperta o ancora chiusa. Gli occhi si erano abituati di nuovo alla luce, le gambe erano tese e pronte allo sforzo. Era più difficile di quanto avesse previsto correre nella tempesta. Non vedeva e doveva respirare il meno possibile per non ritrovarsi il deserto del Sahara in gola. Camminava con passo felpato seguendo gli edifici. Non c’era anima viva. Prese la prima a sinistra e poi subito a destra. Si fermo all’angolo di una villetta che dava su Albany Road. Da lì poteva vedere se il Signor Donovan e la sua auto erano ancora dove li aveva visti l’ultima volta. Sporse leggermente la testa, il nero della vettura brillava colpito dalla luce dell’alba.

Il Signor Donovan si muoveva. Una belva lo teneva per i piedi e lo trascinava lasciando una lunga striscia di sangue sull’asfalto. Jacob doveva agire. Era la sua ultima occasione. Ritrasse la testa e la appoggio alla parete fredda della villetta che lo proteggeva. Impugnò la mazza da baseball. Mentre la sollevava come una spada di fronte alla faccia, notò qualcosa nella finestra della casa di fronte. Due occhi nocciola lo guardavano da dietro il vetro. Dal naso in giù il viso era coperto dal davanzale. Spuntavano solo le mani e gli occhi quasi coperti da una frangia di capelli scuri perfettamente regolare.

Avrà quattro o cinque anni” pensò Jacob.

Il bambino lo guardava sorpreso, concentrato sulla mazza che teneva in mano. Jacob allentò la presa e portò l’indice di fronte alle labbra.

”Vai a nasconderti” disse muovendo le labbra senza emettere un suono.

Il bambino mosse leggermente la testa e in un attimo sparì. Jacob strinse più che poteva la mazza e inizio a correre.

***

Si fermò alle spalle della belva. Mise il piede sinistro avanti mentre il destro rimase più indietro. Portò la mazza dietro la testa e non appena il teschio si avvicinò quel tanto che bastava ruotò di scatto tutto il corpo dando una spinta che partiva dai piedi per poi coinvolgere tutti i muscoli del tronco. Le braccia accompagnarono la mazza con fluidità liberando tutta l’energia che il movimento aveva creato. Come gli avevano insegnato, se ci fosse stata una palla quello sarebbe stato un fuoricampo. La mazza colpì il retro del cranio con un rumore secco di ossa che si rompevano. Era l’unico punto che poteva colpire perché la maschera di teschio proteggeva tutto il viso. La belva non aspettandosi quel attacco cadde in ginocchio. Jacob roteò la mazza colpendo nello stesso punto, facendo volare la maschera sporca di sangue. Sotto quel teschio c’era un uomo come tanti. Nessun tratto particolare. Capelli rasati, sulla trentina, sembrava una persona normale. Jacob non poteva però fermarsi a pensare. Qualcuno poteva aver sentito e non voleva essere fermato ora che era tanto vicino a farcela. Iniziò a frugare nelle tasche del Signor Donovan. Le chiavi erano nella tasca destra dei pantaloni. Si diresse verso la berlina nera parcheggiata nel vialetto di fronte. Notò appena fu più vicino che le ruote erano state bucate.

”Questa non ci voleva” pensò.

Ma doveva aspettarselo. Aprì la portiera, mise le chiavi nel quadro e accese il veicolo. Ora il gruppo di teschi l’aveva sicuramente sentito e gli restavano solo pochi attimi per fuggire.

Fece retromarcia per immettersi in Albany Road e appena la macchina fu in strada schiacciò a fondo il pedale dell’acceleratore. Le ruote slittarono sull’asfalto finché non furono completamente squarciate, lasciando posto ai cerchioni. Con tutta quella sabbia la guida era difficilissima. Jacob non vedeva e in più la macchina slittava su quel tappeto giallo. Era quasi arrivato alla fine di Albany Road quando un martello colpì in pieno il parabrezza mandando in frantumi il vetro. Per proteggersi gli occhi spostò velocemente la mano destra sul viso perdendo il controllo dell’auto che girò di scatto e andò a fermarsi su un marciapiede. Jacob riaprì gli occhi. Una belva si dirigeva verso di lui. Non aveva però armi, aveva usato il martello per fermare la corsa dell’auto. Jacob si fermò un attimo a pensare alle poche alternative rimaste. Prese il martello che si era adagiato sui sedili posteriori e scese dall’auto. La belva si gettò contro di lui, abbassando le spalle come un toro. Jacob con un passo laterale si spostò quel tanto che bastava per far andare a vuoto il teschio. Fece perno sulla gamba destra per girare il busto nell’altra direzione e colpirlo sul ginocchio. Un grugnito animalesco uscì da sotto la maschera mentre si accasciava per terra. Un secondo fendente lo colpì in pieno viso mandando la maschera in mille pezzi, frantumandogli il cranio.

”Devo trovare un’altra auto alla svelta” pensò Jacob.

Non sarebbe riuscito a combattere ancora a lungo.

Mentre decideva il dà farsi, sentì una fitta alla pancia. Una lama usciva dal suo ventre impregnando la maglietta di sangue. Una belva aveva approfittato dello scontro per scivolargli alle spalle e infilzarlo senza che lui opponesse resistenza. Un altro teschio si stava avvicinando. Gli pianto un coltello questa volta nel petto. Jacob iniziava a perdere conoscenza. Il dolore era troppo forte, sentiva il sangue caldo che scorreva dalle ferite. Il teschio che era dietro di lui estrasse la lama che penetrava dalla schiena. Con le ultime forze Jacob urlò per il dolore. Cadde in ginocchio e non fece in tempo a sentire la lama che con un colpo secco si conficcava nel collo. Aveva già raggiunto i suoi genitori.

***

Il sole batteva contro il parabrezza dell’auto che sfrecciava a passo sostenuto lungo l’autostrada. L’agente Baker tirò fuori i suoi occhiali da sole e tenendo il volante con una mano se li premette sul naso. Era una bella giornata, forse anche troppo visto che non era ancora finito dicembre e di neve non se ne era ancora vista. Baker sorseggiò il caffè fumante che sua moglie aveva preparato per il viaggio. Era partito presto, se non ci fossero stati intoppi sarebbe stato a casa per cena. Doveva solo controllare per quale motivo non ricevessero più alcuna informazione da North Town. Forse la tempesta di sabbia aveva rotto qualche centralina, o forse gli agenti si erano dimenticati di avvisare la centrale. Vedeva l’ingresso del paese, non distava tanto da casa sua, due ore di macchina ed era arrivato. La strada deserta gli aveva dato una mano, di certo in pochi giravano in autostrada alle otto di domenica mattina. La pioggia del giorno prima era stata sostituita da un bel sole ma almeno aveva ripulito la carreggiata dalla sabbia che si era accumulata per via della tempesta. L’acqua aveva messo fine alla tormenta prima delle quarantotto ore preventivate dagli esperti. Fino all’anno successivo non ci sarebbero stati altri fenomeni del genere. Le strade di North Town erano vuote, non si vedeva anima viva.

”Sicuramente sono tutti ancora rintanati in casa” pensò Baker.

Rallentò la velocità così da poter guardare meglio. Le case erano tutte sbarrate, nessun segno di vita. Imboccò Albany Road. Una berlina nera era ferma sopra il marciapiede, la portiera del guidatore era aperta e il parabrezza completamente distrutto. Fermò la volante affiancando la vettura abbandonata e notò le gomme bucate. Il conducente doveva aver urtato contro qualcosa a causa della scarsa visibilità e aveva deciso di lasciare la macchina per proseguire a piedi. Si, filava come spiegazione. Schiacciò sull’acceleratore e riprese a muoversi verso la centrale. Le volanti erano tutte nel parcheggio dell’edificio. Nessun agente era uscito per qualche giro di controllo o per assicurarsi che non ci fossero problemi. La situazione iniziava a non piacergli. Baker suonò il citofono ma non ottenne risposta. La porta era aperta. L’agente entrò dentro. Nessuna luce accesa o finestra aperta, era tutto al buio. Estrasse la torcia legata al cinturone che portava sempre con sé. Trovò l’interruttore generale sulla parete alla sua destra. Lo sollevò e dopo pochi secondi la centrale riprese vita. Era completamente vuota. Neanche l’ombra di una segretaria o un qualche poliziotto di quartiere. Fece un giro di perlustrazione e ritornò fuori alla luce naturale del sole. Qualcosa non tornava. Lo sceriffo sapeva che dopo i due giorni di tempesta la vicina Colette da cui dipendeva la centrale di North Town avrebbe mandato qualcuno per controllare che fosse tutto in ordine. Fece due passi fino all’altro lato della strada e iniziò a bussare a tutte le porte delle villette, una dopo altra. Nessuna risposta.

Baker riaccese il motore e ritornò sulla via principale della città. Premette il bottone e la sirena squarciò il silenzio irreale in cui era avvolta North Town. La volante si aggirava a passo d’uomo, la sirena non poteva essere ignorata. Se qualcuno fosse stato in casa avrebbe sicuramente sentito e sarebbe uscito. Sperando che non fossero tutti ancora a letto, in quel caso Baker avrebbe dovuto spiegare ai cittadini incazzati appena scesi dal letto perché un agente andava in giro di domenica mattina con la sirena accesa. Spense la sirena e accosto l’auto.

La città era completamente deserta, questo era un bel problema. Era stato troppo ottimistico, forse la sua cena sarebbe stata un hamburger con patatine all’autogrill che aveva visto sulla statale. Aprì lo sportello, agguantò la trasmittente e scese dall’auto.

”Centrale qui Baker”.

”Buongiorno e buona domenica agente, sono Cherry. Com’è stato il viaggio?”. Cherry lavorava per lo sceriffo da quasi vent’anni, attaccata al telefono per rispondere alle chiamate anche domenica e festivi.

”Veloce e indolore. Lo sceriffo è lì?”.

”E’ domenica agente, se non sta dormendo è in chiesa”.

”Lo rintracci e lo faccia venire subito in centrale. Devo parlargli alla svelta. Mi sa tanto che qui a North Town abbiamo un bel problema”.

”Ricevuto agente, faccio più veloce che posso”.

Baker buttò la trasmittente sul sedile e prese a camminare tra le case vuote. Arrivato a metà di Albany Road, girò a destra per una piccola stradina che portava nella via affianco. Guardava con attenzione ogni cosa cercando un qualche segno di vità. Perso tra i suoi pensieri posò lo sguardo su una finestra della casa all’angolo.

Due grandi occhi nocciola lo guardavano da dietro il vetro.

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AndyHolmes

Scrittore alle prime armi

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