Leggere scrivere e pubblicare Racconti online su Owntale

Una piattaforma ricca di funzionalità dove pubblicare, leggere e scrivere racconti gratuitamente. Mettiti alla prova e raggiungi il punteggio milgiore!

La battaglia di Gettysburg fu una delle più sanguinose nella storia della guerra di secessione degli Stati Uniti.

Il giorno 5 luglio 1863 ebbe luogo un episodio fondamentale di quel conflitto. Sotto una pioggia martellante, l’Armata della Virginia Settentrionale lasciò la città lungo la Hagerstown Road; la battaglia era conclusa e i Confederati ritornavano a casa, mentre l’Armata del Potomac, guidata dal generale Meade li inseguiva, sebbene stremato dalla fatica.

Il fiume Potomac, ingrossatosi per la pioggia, imprigionò l’esercito di Lee sulla riva nord del fiume, la battaglia che ne sortì fu breve ma particolarmente intensa; quel giorno diverse migliaia di uomini persero la vita nel conflitto.

Allo lo Stato Maggiore dell’Esercito unionista, resosi conto dell’impossibilità di restituire a tutte le vittime degna sepoltura in breve tempo, non rimase che organizzare alcuni picchetti di tre uomini che, aggirandosi nel campo di battaglia, potessero impedire almeno lo scempio dei poveri cadaveri da parte degli animali saprofagi.

Uno di questi gruppetti si muoveva presso le sponde del maestoso fiume; ne faceva parte un sottufficiale di lunga ferma, Il sergente Frank Ford e due semplici fucilieri, il soldato John Monroe e il caporale Hermes Tonion.

Era all’incirca mezzanotte, il trio percorreva con circospezione il suo tragitto, attento a non incespicare in nessun cadavere nonostante la luce blanda che emettevano le lampade accese che ognuno di loro impugnava, per ammorbidire quanto più possibile il buio di quella notte senza luna.

Un fazzoletto sul volto, a impedire che l’olezzo del sangue gli ammorbasse le narici.

Già una leggera, impalpabile bruma, avvolgeva il paesaggio, ostacolando il loro tragitto.

Si erano distanziati leggermente per coprire un’area maggiore, rimanendo comunque a una distanza tale da trovarsi ognuno nel raggio visivo degli altri.

John era posizionato all’estrema destra, nel punto in cui giaceva il numero maggiore di soldati morti, era quindi ancora più teso dei suoi compagni, che invece camminavano decisamente più spediti.

Un fruscio alle sue spalle lo distrasse, alzando al contempo il tasso di adrenalina nel suo sangue.

Si voltò, illuminando il paesaggio con la flebile luce della sua lanterna, guardando fisso verso la sorgente del rumore.

Era completamente immobile, contratto come una molla per la tensione, i sensi accesi al massimo e l’attenzione focalizzata sullo squarcio nel buio creato dalla luce.

Un altro rumore, come quello di un ramo rotto e calpestato; attese alcuni secondi mentre la mano scivolava sulla fondina, accarezzando il ligneo calcio della sua Colt navy 1851.

John tirò un sospiro di sollievo, semi-immerso nella foschia un cane selvatico si stava muovendo in cerca di cibo.

Estrasse la pistola e la puntò verso l’animale, che stava camminando ignaro del pericolo, annusando l’aria pregna, per le sue sensibili narici, di odore di sangue e di carne fresca.

Incomprensibilmente John non sparò, rinfoderò l’arma e si chinò a raccogliere una grossa pietra, che scagliò con forza contro l’animale.

Non lo colpì, ma il gesto fu sufficiente a dissuadere il cane dal non cercare oltre cibo e ad allontanarsi, almeno per il momento.

Soddisfatto, il fuciliere si rivolse verso i compagni, ma si rese conto di aver perso il contatto con gli altri, vedeva unicamente la luce dei loro lumi baluginare in distanza, nella nebbia.

Si riprese, allungò il passo nella direzione dei suoi commilitoni, con il fiato che si faceva via via più pesante per l’emozione e la tensione.

Un altro rumore alle sue spalle.

Questa volta era più strano, un sibilo ovattato come quello della brezza che lambisce la superficie del mare.

Istintivamente, come aveva fatto in precedenza, indirizzò la luce verso la fonte del rumore, aspettando di trovarsi nuovamente di fronte a una bestia errante.

Invece quello che vide fu così raccapricciante e inaspettato che gli gelò immediatamente ogni singola stilla di sangue che gli scorreva nelle vene.

Riverso sopra il povero corpo senza vita di un soldato dell’unione, come un’immonda zecca, qualcosa di non umano stava banchettando.

Non era un animale, ma qualcosa di completamente diverso.

“Che cosa stai facendo!” Urlò John senza quasi rendersi conto.

Per sua sfortuna, allertato dal grido di sgomento, l’essere alzò lo sguardo verso di lui.

Il ragazzo avrebbe potuto benissimo perdere i sensi per il terrore, se il suo istinto di sopravvivenza non lo avesse obbligato a una forzata veglia di attenzione.

Di fronte a lui un essere sconosciuto.

Una testa completamente calva con la pelle raggrinzita si sollevò dal lugubre pasto e, con una calma surreale, lo guardò dritto negli occhi, con un’espressione che definire morta, sarebbe un eufemismo.

La carnagione era di un pallido cadaverico, gli occhi enormi completamente di un nero intenso, come quelli di un gufo, la bocca era solamente una leggera protuberanza con una fessura senza labbra ma dotata di una fila di affilati denti.

Una grande macchia di sangue e di resti umani, imbrattava l’intera parte inferiore di quello che doveva essere il suo volto.

Per alcuni, lunghissimi istanti i due si fissarono negli occhi, poi, istintivamente John afferrò la pistola e scaricò l’intero caricatore sulla cosa.

Quest’atto non ebbe alcun risultato se non quello di far alzare lo strano essere dal suo empio banchetto.

Sempre con quell’inespressivo sguardo puntato sul ragazzo che, nel frattempo stava tentando di ricaricare il revolver, l’ombra si mosse verso di lui.

Prima lentamente poi sempre più velocemente.

La distanza che li separava si riduceva prepotentemente  senza che il fuciliere fosse in grado di ricaricare la sua Colt, già sentiva nelle narici il fetido alito di cadavere provenire dal mostro.

Questi era già quasi addosso al giovane, con le sudice fauci spalancate nell’atto di aggredirlo, quando qualcuno si frappose tra di loro.

“Allontanati!” Urlò perentoria una voce conosciuta.

Era il sergente Ford che, brandendo nella mano destra un insolito amuleto, gli era venuto in soccorso.

Il mostro era lanciato verso di lui con tutta la rabbia e la forza che aveva nel suo orrendo corpo, pregustando già il sapore dei suoi umori vitali.

Ford invece era lì, immobile, non muoveva muscolo nonostante il mostro gli si stesse avventando addosso.

Qualcosa però non andò come la creatura aveva programmato, di colpo, a non più di una spanna dalla sua preda, una forza incontenibile lo respinse a parecchi metri di distanza.

Questo lo rese ancora più furente, si alzò e riprese a lanciarsi contro l’uomo, ma ancora un muro invisibile non gli consentì di toccarlo.

Anche se ogni urto si rivelava sempre più doloroso del precedente, la fame e la rabbia fecero sì che il mostro tentasse innumerevoli volte di attaccare, finché non ebbe più forze e rimase a terra privo di sensi.

“Chiudi gli occhi!” Ordinò nuovamente il sottufficiale.

Il ragazzo, per quanto sorpreso, non attese un attimo a obbedire.

Passarono solo pochi istanti in cui, dai rumori che stava udendo, John intuì che Ford aveva lanciato la sua lanterna sull’essere esanime, incendiandolo.

La luce che ne scaturì fu talmente forte che, quasi, abbagliò il giovane fuciliere, nonostante le palpebre calate.

“Ora puoi riaprirli”. La voce si era fatta più rilassata.

“Ha visto anche lei, signore?” Chiese John in preda a convulsioni di raccapriccio, ringraziando il fato che aveva consentito al sergente, seppur trafelato per la corsa, di averlo raggiunto in tempo.

“Vieni, torniamo all’accampamento per fare rapporto. Manderanno loro una squadra di derattizzatori a ripulire la zona!” Ordinò secco il sergente mentre, girandosi di spalle allo spaventato ragazzo, si allontanò in direzione del loro attendamento, raggiunti, proprio in quel momento, dal secondo fuciliere.

John invece rimase come inebetito per alcuni secondi, finché, udendo i loro passi allontanarsi nella notte, ritenne più opportuno e sicuro seguirli.

Una volta giunti a destinazione, John si chiuse immediatamente nella sua tenda, in preda a una paura irrefrenabile; non si distese neppure nel suo misero pagliericcio ma si rannicchiò su di esso, con lo sguardo fisso all’ingresso del piccolo rifugio, con la pistola carica tra le mani.

Passò in quel modo la parte restante della nottata, in vigile guardia.

Il mattino seguente qualcuno bussò.

“Posso entrare? Ho portato il caffè”. Disse la voce calda di Ford.

Con gli occhi resi pesanti e rossi dall’insonnia John rispose.

“Venga pure avanti, sergente”.

Il sottufficiale entrò, togliendosi il logoro cappellaccio e si sedette vicino a lui.

Tergiversò un poco, giochicchiando con la tesa del berretto poi, di colpo, come per levarsi di dosso un grosso peso, si rivolse al giovane fuciliere.

Sottovoce, per paura che qualcuno, al di fuori della tenda, potesse udire le sue parole.

“E’ già da qualche tempo che il Quartier Generale è informato dell’esistenza di queste “cose” e che ne tiene nascosta l’esistenza.

Arrivarono dopo i primi, cruentissimi, combattimenti di quest’assurda guerra, quando il campo di battaglia si riempiva dei cadaveri di giovani uomini.

Solo durante la notte si mostravano, succhiando ogni singola stilla di sangue dagli sventurati ancora vivi che non avevano ricevuto soccorso” Sospirò “e per cibarsi delle loro carni!”.

“Lei lo visto sergente, sapeva perfettamente come sconfiggerlo, cos’era?”

“I nativi americani li chiamano windigo. Secondo le loro leggende un uomo si trasforma in quella belva se è morso da un altro windigo, se è stato indemoniato in sogno, oppure se si è nutrito di carne umana.

I nostri esperti però ritengono più probabile che questa piaga sia il frutto di una maledizione di uno stregone Sioux.”.

“Perché?”.

“Pensaci, noi siamo gli invasori. Abbiamo calpestato le loro tradizioni millenarie e saccheggiato le loro terre, li abbiamo combattuti e quasi decimati, non credo che, nelle stesso condizioni noi ci saremmo comportati diversamente.

Avremmo usato le armi che ci erano rimaste per combattere il nemico!”.

“Sergente, sembra quasi che lei sia solidale con loro!” Parve rimproverare il ragazzo.

Il vecchio soldato, senza dire nulla, si slacciò la giacca e, da una tasca interna estrasse un cencio, un tempo bianco.

Lo srotolò e, davanti allo sbigottito fuciliere, estrasse un amuleto di chiara fattura indiana.

“Vedi questo?” disse porgendolo al ragazzo.

“Questo talismano mi è stato dato da un amico Apache ed è l’unica cosa che stanotte, è riuscita a salvare le nostre vite: un sacchettino di iuta al cui interno ci sono alcune particolari erbe secche, lui le ha benedette col succo di peyote, un cactus il cui estratto, essi credono, può mettere in comunicazione col mondo spirituale, e me le ha donate”.

“Sergente, stanotte lei ha anche accennato a fantomatici derattizzatori, chi sono?”.

La domanda così diretta del giovane non spiazzò l’anziano militare, se lo aspettava, d’altro canto era entrato nella sua tenda con l’intenzione di metterlo al corrente di ogni cosa, quindi si schiarì ancora la voce e, sempre facendo attenzione al tono della stessa, continuò il suo resoconto.

“Chiamiamo in questo modo una particolare élite di soldati Apache e Navaho in grado di disinfestare una zona dalla presenza dei windigo, tra di loro ci sono sciamani di molte tribù, che ritengono il fatto di aver evocato questi mostri un atto sconsiderato, che potrebbe ritorcersi anche contro loro stessi.

Per questo ci aiutano a cacciarli”.

“Si sa chi è lo stregone così infuriato con noi da averci scatenato contro una simile maledizione?”.

Il sergente Ford divenne improvvisamente serio, abbassò lo sguardo in un modo che tradiva vergogna.

“Beh, di nemici ce ne siamo fatti tanti tra i pellerossa, non c’è dubbio!

L’unico però dotato di un potere tale da riuscire in questo compito è colui che chiamano “Isola nel cielo”.

E’ uno stregone a cui, qualche anno fa, nei pressi della città di Tacoma, alcuni   cowboy ubriachi hanno sterminato la famiglia.

I criminali sono stati catturati ma sono stati liberati subito dopo.

Aver ucciso degli indiani, per il giudice di quel posto, non deve essere stato un atto così grave, ha preferito credere ai sette assassini, che hanno giurato sulla Bibbia di essere stati assaliti loro stessi.

Così “Isola nel cielo”, prima di sparire completamente, ha giurato di vendicarsi su tutti gli uomini bianchi”.

Nella tenda scese una pesante cappa di silenzio, tra i due, per alcuni minuti non corse nessuna parola, quasi volessero in cuor loro metabolizzare una simile ingiustizia, per non dover, in alcun modo, sentirsi solidali con lo stregone dei pellerossa.

Poi John ruppe il silenzio.

“Perché mi ha raccontato tutto questo?”

“Perché questa è, probabilmente, la guerra più importante che stiamo combattendo, anche se in assoluto segreto.

Da essa può dipendere la continuazione della nostra esistenza su queste terre; vedi, se i windigo si moltiplicheranno, tra breve non ci cacceranno solo di notte, e, soprattutto non banchetteranno con le vittime inermi delle battaglie.

Cominceranno a cercare il cibo nelle case dei coloni o negli accampamenti degli indiani, e questo noi non lo possiamo permettere”.

Il ragazzo affondò nel vuoto lo sguardo sbigottito, stava pensando a una proposta da fare al sergente.

“Voglio arruolarmi dei “derattizzatori”, sussurrò, egli stesso sorpreso dalle sue parole. “Adesso che sono consapevole di questa cosa, non posso fare finta di nulla!”

Un sorriso pieno del vecchio sottufficiale dimostrò che il vero obiettivo del suo raccontare era proprio questo, soddisfatto rispose.

“Ottimo ragazzo! Presentati fra poco alla tenda del Tenente Brown e informalo della tua volontà, lui sa tutto e ti dirà cosa devi fare”.

“D’accordo!”

Il sergente uscì dalla tenda calcandosi sul capo il logoro berretto, John intanto si rassettò con cura, uscì e si diresse verso la dimora dell’ufficiale.

“Oggi è un nuovo giorno” Pensò “Niente sarà più come prima!”.

0
0
Alcano
About

Cinquantasette anni e un sacco di e-book all'attivo, scrivo solo per passione e per appassionare, per dimostrare che si è sempre giovani per scrivere.

TAGS: -

Commenta il racconto di

Lascia un commento

1 Comments