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Camminare per le strade di Calcutta, in India, equivaleva a farsi una passeggiata in un girone dell’Inferno dantesco; corpi accoccolati ai bordi delle strade che tendevano la mano alla carità dei passanti, impregnati dal fetido olezzo di escrementi umani che si alzava dalla via, che altro non era se non una fogna a cielo aperto, nella quale questi miserabili si rotolavano, ammorbandosi.

Una infinità di persone gli passavano accanto senza degnarli di uno sguardo.

Accudendo alle proprie normali mansioni quotidiane si scordavano che, tutta quella accozzaglia di povera gente, erano solo persone sfortunate, diversamente da loro.

I due ragazzi, chiaramente occidentali, si aggiravano con uno sguardo perplesso e impietosito.

Erano senz’altro gemelli, anche se di sesso opposto, con capelli color del rame, gli occhi verde smeraldo e la carnagione chiara.

Indossavano entrambi un sari verde chiaro, al braccio destro una fascia bianca con disegnato un cuore che grondava sangue.

Si avvicinarono a uno dei tanti mendicanti, una povera donna che dimostrava molti più anni di quelli che probabilmente aveva.

Portava con sé un fagotto, nel cui interno si nascondeva un piccolo corpicino addormentato.

Lei tese la propria, ossuta mano allo spasmo, singhiozzando; elemosinava qualcosa con cui poter nutrire il suo piccolo, visto che il suo seno, avvizzito dalla denutrizione, non produceva abbastanza latte del quale il neonato abbisognava.

Il ragazzo la guardò commosso, mentre alla sorella, rimasta in disparte, scese una calda lacrima sulla guancia.

Lui aprì il sari e, da una tasca interna, estrasse una banconota da dieci rupie e un biglietto da visita, quindi in uno stentato indiano le suggerì di recarsi, quella stessa sera nel luogo indicato nel cartoncino.

“Qui troverete del cibo caldo e un ricovero per la notte”. Disse con la voce rotta dal tormento interiore.

La donna prese la banconota ma, prima che il giovane potesse ritirare la mano, la afferrò e la bacio con gratitudine.

Lui la ritrasse, visibilmente emozionato, e la guardò con infinita dolcezza.

“Il mio nome è John,” Disse “e lei è mia sorella Janet; ti aspettiamo questa sera, mangerai qualcosa di caldo, poi, insieme, pregheremo ognuno il nostro Dio.

La religione non è coercizione ma un vero atto d’amore!”

La voce dell’arrivo dei gemelli benefattori si sparse velocemente tra gli sbandati di Calcutta, John e Janet vennero letteralmente assediati da una torma di poveretti che piativano qualcosa con cui sfamarsi.

Loro avevano un sorriso e una moneta per tutti e ognuno di loro venne invitato a mangiare, quella stessa sera.

“Purtroppo adesso non abbiamo più posto!” Confermò Janet a tutti quelli rimasti esclusi “Però tra pochi giorni saremo ancora tra di voi. Verrà anche il vostro turno, abbiate fede”.

Il refettorio era una grande stanza quadrata di dieci metri di lato, sulla parte destra, vicino alla porta della cucina a due battenti, c’era un grande bancone per servire i pasti che fronteggiava tre file di tavoli uniti a ferro di cavallo.

Dietro il desco una grande porta a vetri si apriva sull’anticamera che dava direttamente accesso alla strada, nella quale erano già presenti i primi ospiti.

Le pareti della mensa erano dipinte di un candido bianco, che regalava una pulizia sublime a tutto l’ambiente, su tutto svettava un grande poster, sul quale erano raffigurati John e Janet sorridenti, che sostenevano un piccolo bambino indiano altrettanto felice.

Sotto questa scena rilassante una sigla, A.Mo.C.-D.Ec. e la traduzione dell’acronimo; Alleanza mondiale contro le disparità economiche.

Ancora sotto il simbolo dell’associazione: un cuore sanguinante, lo stesso che i due ragazzi avevano dipinto sui grembiuli bianchi che indossavano per non sporcare i vestiti mentre preparavano le porzioni per rifocillare i miserabili di Calcutta invitati per quella sera.

I due benefattori, dietro il bancone in acciaio, fecero un cenno e la grande porta a vetri si aprì.

Decine di persone si riversarono nella stanza, spintonando e vociando per cercare di prendere un posto al tavolo.

“State calmi!” Disse John “C’è posto per tutti alla nostra tavola”.

In effetti ognuno trovò una collocazione al banchetto, davanti a un caldo piatto di minestrone bollente; la serata era fredda e le decine di vagabondi gradirono molto il pasto caldo.

“Adesso prendete la vostra scodella e mettetevi in fila per il secondo”. Disse Janet agitando una grande paletta da cuoco.

I mendicanti di Calcutta si alzarono ordinatamente, sorreggendo il loro piatto vuoto, con la calma di chi sa che non è necessario lottare con gli altri per la propria razione.

Già quello era un miracolo per quella gente abituata da sempre a combattere per un tozzo di pane, ma il calore del momento ne aveva sopito le spinte battagliere, sostituite da una grande riconoscenza.

“Adesso mangiate con calma il vostro cibo”. Disse John una volta che ebbe servito anche l’ultimo di loro “Io e Janet andiamo a cambiarci, ci vedremo tra poco per la preghiera e per i saluti!”

I due ragazzi lasciarono le loro postazioni di lavoro e, attraversando la piccola porta bianca a due battenti, entrarono in quella che pareva proprio una cucina.

Nel frattempo, tra gli sfollati di Calcutta era sopraggiunta una calma soddisfatta.

Erano tutti sazi e felici come non erano mai stati, cominciarono così a conversare tra di loro, lasciando da parte la naturale riservatezza che, normalmente, comporta il loro stato ma, essere tra persone nelle stesse, miserabili condizioni, li portò ad aprirsi, raccontando ognuno la sua triste storia.

Persino la vecchia madre con il neonato sempre appresso, si era finalmente sfamata dopo tanto tempo; il piccolo aveva gradito il brodo e adesso rideva battendo le piccole e magre manine.

Il cuore della madre si riempì di felicità, quindi scoppiò a piangere per gratitudine verso quei due cari ragazzi.

Il brusio si interruppe quando i due benefattori rientrarono nella stanza, sfoggiando un candido saio con cappuccio, legato in vita con una corda di seta color oro e l’immancabile simbolo appuntato sulla spalla destra.

“Adesso che avete mangiato” Affermò Janet “Vi preghiamo di rivolgere la vostra gratitudine a che ha permesso tutto questo!”

I due cominciarono a intonare una cantilena, una dolce armonia salmodiata in una lingua che era incomprensibile ai presenti, l’unica cosa vagamente riconoscibile ripetuta più volte era la sigla della loro associazione benefica: Amok-Dek.

Molti dei presenti, tra cui la vecchia madre, particolarmente grati per la misericordia ricevuta, presero a cantare, tentando di accodarsi alla canzone.

A voce bassa, scimmiottando la musica e le parole che, comunque, si ripetevano in modo ciclico.

Improvvisamente, giusto al centro del refettorio si formò qualcosa: assomigliava a una piccola sfera sospesa a mezz’aria, di colore bruno scuro ed emetteva alcune strane radiazioni che sembravano alterare lo spazio intorno a sé.

Dopo qualche istante l’anomalia si allargò mostrando al suo interno quello che pareva un universo oscuro, privo di luce, il buio primordiale senza il bagliore di alcuna stella.

La sfera esplose dilatandosi, lasciando al suo posto una sorta di ponte dimensionale grande quando un uomo, dal quale fuoriuscivano urla lontane e terrore puro.

La sorpresa tra i presenti lascio il posto all’orrore quando una sorta di lungo, viscido tentacolo uscì dal passaggio e afferrò un vecchio mendicante; le ventose lo abbrancarono stretto, gli uncini di cui era dotato si infilarono nella carne del poveretto che venne trascinato verso il vuoto.

Scomparve in un istante urlando di sgomento e di dolore.

Il panico si impadronì della folla, tutti corsero verso al grande porta a vetri per sfuggire in strada ma era chiusa dall’esterno.

Forzarla non produsse alcun risultato, così i poveretti si sparpagliarono per la stanza, tentando di rintanarsi in qualche posto sicuro.

Un altro tentacolo, poi un altro e altri ancora invasero l’ambiente, sibilando nell’aria alla ricerca di altre prede; ormai la stanza brulicava di quegli immondi arti, che avvinghiavano persone e le trascinavano via con loro.

Nel frattempo John e Janet continuavano a intonare il loro canto, come se non si accorgessero di quello che capitava intorno a loro, la vista dei corpi smembrati, i cui mozziconi di carne cadevano anche su di loro, sembrava non potesse destarli da quella sorta di ipnosi.

Neppure quando l’ennesimo artiglio afferrò la vecchia madre che li implorava di aiutarla e la portò via, sempre col suo prezioso fagotto in grembo, piangendo come una disperata non tanto per la sua miserabile vita quanto per quella del piccolo figlio.

Un becco a rostro, come quello di alcuni calamari, si materializzò appena oltre il portale, per i pochi sopravvissuti fu subito terribilmente facile capire la fine che avevano fatto i loro compagni.

Con ferocia il rostro triturava i corpi delle vittime strillanti, poi li divorava voracemente, lasciando una scia di carne e di sangue sia su questo universo che sull’altro.

Per quasi mezz’ora l’interno della mensa fu tutto un urlare di terrore e un inferno di corpi maciullati.

Alla fine tutto ebbe termine, nella stanza era tornato un surreale silenzio rotto soltanto dalla nenia proveniente dai due ragazzi.

Il foro spazio-temporale si richiuse implodendo su sé stesso nel momento stesso in cui il canto si interruppe.

John si scosse dal suo torpore, il sangue imbrattava le pareti e il pavimento mentre tutt’intorno era pieno di brandelli di carne maciullata, che un tempo erano stati esseri umani

“Dobbiamo ripulire al più presto” Suggerì a Janet, che nel frattempo, anche lei, si era ripresa.

“D’accordo!” Disse Lei “Una settimana passa presto e dobbiamo preparare tutto per ripetere il rito della nutrizione di Amok-Dek.!”

“Sia gloria al nostro Signore!”

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Alcano
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Cinquantasette anni e un sacco di e-book all'attivo, scrivo solo per passione e per appassionare, per dimostrare che si è sempre giovani per scrivere.

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11 Comments

    1. Alcano
      Alcano

      Proprio, caro Filippo e il richiamo al “Villaggio dei dannati” è assolutamente pertinente. L’ho voluto ambientare a Calcutta ma potrebbe essere stata Rio de Janeiro o persino a Zombieland, tutti posti dove se le persone scompaiono non interessa nessuno; tremendo, vero? Grazie ancora per la tua pazienza.

  1. Luisa
    Luisa

    Alcano ma c’è una morale terribile in questo racconto!
    Non fidarti di chi tanse la mano per aiutarti? Non credere a nessuno? Il bene non esiste?
    Oppure non c’è ed è solo una storia che vuole lasciarti il terrore in corpo?
    Beh ci sei riuscito, mi ha fatto sentire la paura.
    🥺

    1. Alcano
      Alcano

      Grazie Luisa, per tutto, ma soprattutto per la tua sensibilità. In effetti il racconto è horror puro. I due ragazzi “raccoglitori” mascherano il loro crudele intento raccogliendo barboni da servire al loro dio pagano come pasto, sono buoni solo di facciata, in realtà sono spietati, di questo non ci sono dubbi.