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Un coniglio viola bussò alla porta. Lo ho aperto con un machete e dentro ci stava una nave in bottiglia, così mi son rimpicciolito e ci sono entrato. Ho navigato fino all’Isola della Merda. Tutti quelli che cagavano contavano qualcosa mentre chi era stitico non era nessuno. A me non scappava quindi ero poveraccio. Lavai per terra con la lingua fino a che fui ricoverato e me la tagliarono. Un chirurgo geniale mi creò una lingua finta. Aveva una cerniera, così ci mettevo dentro quel che capitava, spesso scordandomene.

 

Ero allo stremo delle forze mangiando ogni cosa che mi capitava a tiro, per arricchirmi, ma dovetti cambiare lo stomaco che mi si era forato, inserendoci di tutto.

 

Una volta nella lingua ho messo parecchia marijuana. La tenevo come scorta. Poi è venuta una legge che vietava di fumarla, perché se pur leggera era una droga. Ora, non è che mi dispiaceva questa cosa, ma a chi avrei dato quella che tenevo? La feci fumare a dei tipi, che ne furono ben contenti. Pensai alle mie piante. Avrei dovuto coltivarne delle altre. Ma non era questo che mi irritava.Il fatto era che per anni la gente aveva spipacchiato. Giovani, meno giovani. Prima sì,ora no. Quello che mi faceva imbestialire era:chi si manda votando a fare le leggi avrebbe poi tolto delle altre libertà? Perché di aggiungerne ci stava solo questo yo-yò: si veniva impoveriti nelle spese fino a intristirsi, finché solo dopo molte sofferenze una azione di Governo ridava parzialmente respiro a qualche categoria. Non proprio poveri contro ricchi, ma simile, c’era da diventarci scemi a indagare. Così si andava avanti.Quindi, buttai nell’organico le ultime piante di cannabis e mi ripromisi di metterci un limone, dei pomodorini, la salvia, l’origano al loro posto.

Bene. Proseguii il mio viaggio da buon pellegrino scavezzacollo. Mi sentivo un po’ Pinocchio, un po’ Geppetto, un po’ Indiana Jones. Continuai a camminare finché mi si ridussero le scarpe a brandelli, proprio che i piedi mi si stavano quasi per trinciarsi sulle vie. C’era poi da sentirsi male a vedermi i piedi, tutti rovinati, lerci e lesi. Per evitare questo, misi i piedi nel fiume che era lì,e un poco mi si guarirono,e con della stoffa intorno mi feci delle calzature alla bell’e meglio.

 

Ripartii. Incontrai vedove affrante, preti spretati, lillipuziani pieni di tesori, famiglie spente e gente di ogni tipo, negri vucumprà con le Nike, zingari con cellulari meglio del mio, insomma tanto popolo strano. Non ci feci caso troppo, perché il mio era più un viaggio per l’andare che per scoprire troppe cose, che per metà non mi interessavano. Vidi anche molto bei palazzi, grattacieli che ti sfioravano le nuvole per davvero, capanne e rifugi fatti con ogni materiale, trulli mezzo sbreccati, nuraghe abitati, serre che oltre ai funghi tenevano gente a dormirci.

Vidi di tutto questo bel vedere, finché incontrai Emma, una bambina triste. Le chiesi che le fosse successo e mi disse: mi si è spenta la candela della fortuna. Io le chiesi cosa fosse e mi rispose: è una candela che sta dentro un ippopotamo scuoiato marcito, e si era decomposta la carcassa e spenta la fiamma.

– Ma si può trovare un nuovo ippopotamo e rimetterla? –

– Se ne sai trovare uno, ma che sia morto perché se è vivo non devi abbatterlo. –

– Se passo per l’Africa e lo trovo, te lo porto.-

Quindi feci un giro del mondo un po’ più largo e trovai delle musulmane. Scusate, papparappappà allàallà, che mi fate vedere il numero che voi siete perché siete troppe tutte tristi a venerare un dio sempre assente, tutte con questi veli a coprirvi, intabarrate come foste già morte nel sudario. E loro mi danno un numero grande davvero.

 

Poi vado nelle chiese, rubo le offerte,sempre poche, che ci sono, e chiedo: mi fate vedere codesto Gesù che vi fa tanto stare a pensare. E mi fan vedere quadri, statue, e non mi basta. Così lo chiamo dal cielo, e mi scende questo…signore…tutto allampanato e bruno. Anche un po’ sfigato peggio di me, a vederlo. Ma di ogni cosa che gli chiedevo, non mi rispondeva. Si limitò a seguirmi per gran parte della strada, per poi sparire a un certo punto, senza farsi più vedere.

Arrivai in India. Ci stavano le ragazzette a vendersi per qualche poco soldo, e non avevo una lira, così le feci ubriacare con del Tavernello, e me le feci lì dove si stava. Belle, con questa pelle mulatta e secca per il sole. Mi spiacque di non poterle fare loro ridere, ma non avevo battute pronte. Quel paese era bello, pieno di bella gente squisita, ma anche di facce torve, e mi ricordò un poco di come era il Brasile.

-Ma come è che avete tanta gente con tutte queste malattie, escrescenze? O che vi han fatto gli Inglesi a colonizzarvi, vi hanno appestato?-

E non mi seppero rispondere.

Certo avevano tanti casi alla Elephant Man, se li vedeva David Lynch pensava,altro che Twin Peaks, qui siamo a rivedere Freaks di Tod Browning. Versione 3D.

Incontrai Baba Long, un santone che beveva latte e marijuana. E mi spiegò che secondo lui i casi erano due: o era stato un vento ucraino contaminato da Chernobyl, o c’entrava con esperimenti dei Russi, o qualche arma chimica degli eserciti intorno. Insomma, una risposta vaga che non mi spiegò niente.

-Gli americani ci aiutano coi medici, ma i casi sono tanti. –

Me ne andai con tanta amarezza, e bizzarri ricordi. Finché incontrai la Cagona. Si chiamava prima la Cafona, poi ingrassò come una balena e si mise a cagare per strada e a farsi arrestare per due capi di accusa: atti osceni , per mostrare questo coso lardoso fesso nel mezzo dove sbucava il fardello; e per lo sporcare il suolo pubblico. Era di un paese straniero, non so quale; ma tenere una persona non italiana che ti fa queste cose invece di lavorare, mah, peggio di me era questa zozza. Prima si fermavano ragazzacci a guardarla poi han smesso ma penso proprio che una Italia che tiene stranieri solo a cacare, non mi pare bella cosa.

Per scordarla, feci un altro giro del mondo, toccando Olanda, Tailandia, e tanti altri luoghi che a dire di ognuno non ho tempo.

*

Mi svegliai. Perché mi chiamo Dario Spisoferri, non Cencio. Però mi pareva il viaggio di averlo fatto davvero. Che ero proprio io quel Cencio tutto malfatto che si faceva giri del mondo solitari. Fui contento che fosse un sogno tutto quel vedere, ma una parte di me si diceva che quella storia doveva avere anche buona parte di vero. Me ne fregai, e feci la mia vita nuovamente per come era. La mia.

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FilippoArmaioli

Scrivo su Alidicarta e Owntale.

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