Sotto la neve
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La fila di buche in direzione del rifugio rievocava il passaggio di un viandante in procinto di giungere alle montagne. Gli scavi sarebbero spariti in poco tempo dimenticando qualsiasi motivo per cui delle cavità avessero infranto la continuità del velo bianco. Bastava anche solo il vento. Spostando leggermente la sabbia di montagna e la candida coperta sarebbe tornata pianeggiante sul terreno dove i bambini avevano giocato. Gran parte del suolo calpestato era tornato intatto, l’aspetto non forniva l’immagine di passaggio se non per quelle fessure causate dai piccoli, si erano divertiti parecchio a lanciarsi soffici palle durante la camminata. Situato sulla catena dei Monti Simbruini, il Monte livido, meta dell’escursione scolastica, esibiva un meraviglioso benvenuto, nella quale il cielo fioccava petali bianchi. Una volta scesi al suolo si confondevano con la chiara e granulosa tappezzeria, disseminata sino a valle per accogliere i pulcini al loro arrivo. Bastava quello ad incantarli, non c’era bisogno di passerella, tappeto rosso o degli abbaglianti flash, provenienti dai soliti fotografi ammassati dietro il velluto. La sola cosa soffice a contare, almeno per alcuni, era la neve. L’altitudine del monte raggiungeva poco più di mille e quattrocento metri dal livello del mare, per cui non c’era da stupirsi se pizzico dopo pizzico tutta la saliera si era svuotata ricoprendone la vegetazione. Ammirandola dall’alto sembrava come se Dio, versando la neve come i suoi figli gettano il formaggio sulla pasta, si fosse lasciato scappare il recipiente colmando il piatto di grana padano, cospargendone anche la tovaglia. La precipitazione si era dilatata nel Lazio e nell’Abruzzo spargendosi fino a Venarte, tuttavia ciò non comportò alcun blocco stradale. Certo le strade erano pericolose e ghiacciate però, con una buona manutenzione e prudenza nella guida, era possibile circolare senza dover risentire di restrizioni. D’altronde in quel periodo era solito osservare tale fenomeno. Benché non si fosse arrivati a gennaio capitava in anni particolari di assistere a nevicate di questo genere.
Si trattava di tempi in cui i cambiamenti climatici venivano appena considerati, i danni ritenuti minimi e tutte le nazioni fingevano di tenerci, sebbene a fatti non prestavano attenzione alla questione. Figuriamoci le aziende, i loro impianti potevano produrre di tutto, freon, tossine anche radiazioni, l’elemento fondamentale marcato ad occhio era solo uno. L’incasso. Per gli uomini è il denaro a far girare il mondo, mica l’ambiente che nei millenni li ha solo mantenuti in vita. Per cui non c’è da preoccuparsi se un multimiliardario alla televisione dice che l’effetto serra non esiste o che la natura, e gli animali risiedenti in questa, non è affatto minacciata dalle persone, ne tantomeno ne risente l’ecosistema per le presenze industriali in continua espansione, tanto alla fine cosa volete che sia. Beati i bambini. Già beati loro, perché non pensano a queste cose, e non ci devono riflettere perché sono bambini. A questi spetta solo di giocare, correre all’aria aperta e fare qualche birichinata in compagnia, da ricordare una volta diventati grandi. Di quei riferimenti estratti nei discorsi intrapresi nell’eventualità di incrociare qualche vecchio compagno di classe. I piccini necessitano giusto di divertimento. Perché renderli ansiosi già in tenera età?! Gli unici miglioramenti da esternare sono attinenti al carattere e nell’espressione della propria fantasia. A questa devono indirizzare la concentrazione, sfogando liberamente quanta più immaginazione possibile. La meraviglia nei loro occhi è qualcosa di unico. Forse è per questo che mantengono un contatto così legato a Vita. È magico. Si tratta di un aspetto che gli adulti vanno a perdere, crescendo. Uno spessore sottile, come il perimetro di un foglio, di quelli dal lato fine, cosi fine da potercisi tagliare. Qualcosa d’impossibile da vedere, per molti, ed impegnativo da ammirare per quelli dalla vista acuta, eppure è presente. È tangibile. Stessa cosa per quella leggera connessione via via dispersa dal nascituro. Non sempre il filo dura. Come un cordone ombelicale viene tagliato, e se non cosi ci pensa la tensione a far si che cedi. Separando definitivamente la procreatrice dal suo essere.
Dopodiché deve solo procedere, passo dopo passo fino alla conclusione del tragitto.
In merito a ciò solo lo sviluppo cambia da un individuo all’altro. Il modo in cui si cresce e vive la dice lunga sul soggetto delle vicende. Questo protagonista fonda i modi intorno le esperienze come campi gravitazionali. Perché campi gravitazioni?! Considerando ciascun’errore un pianeta e la possibilità di ricaderci come un piccolo satellite attratto da questo punto fisso è facile immaginare cosa accada. Il satellite ruota sperando di fuggire dalla sua attrazione, prova a rimanere in orbita, evitando cosi lo schianto. Alcuni ci riescono ed altri no. Alle volte lo schianto avviene a bruciapelo, o comunque tastando il suolo sfregiandosi, o addirittura rimbalzando, senza spargimenti di detriti se l’atterraggio avviene come si deve. In seguito l’astro torna a girare, ancora e ancora nella speranza di non incappare di nuovo su superfici il cui impatto è fatale. Altri invece, suscettibili alla gravità, precipitano acquisendo velocità nell’urto provocante la loro frantumazione. Quasi mai è il pianeta a dissolversi. Sono i corpi piccoli ad abbattersi durante lo schianto. Quelli che possono permettersi di risucchiare l’altro difficilmente si lasciano scalfire. Ancora meno toccabili sono le stelle, basta avvicinarsi per bruciarsi. E per concludere vi sono i buchi neri, quelli si che sono temibili. Crescono esponenzialmente assorbendo tutto ciò che possa brillare, espandendosi non lasciano altro che vuoto. Divorando ogni sorgente radiosa che possa illuminare l’universo. Con il passare delle ere avvengono cambiamenti, trasformazioni e maturazioni. Ad ogni rotazione si introducono nuovi elementi, aggiungendosi in men che non si dica una galassia di forze pronte a trascinare a sé masse dalla mole minore. Sempre di più, con nebulose pronte a partorire nuovi ammassi che finiscono per ruotare intorno persino ai più insignificanti sistemi. Con un unico centro in tutto ciò, rimasto invariato durante le ere.
Sopravvivere. È proprio questo il concetto in cui ruota il globo d’ognuno, percorre il cerchio per mantenere questo scopo, questa scelta. Magari la composizione si sfalderà crepandosi lo stesso, ma perché… perché renderla facile?! Non è accontentarsi, ma recedere. Ci si può far sopraffare da Sorte o impegnarsi. Dopotutto con lo scorrere del tempo, gli astri migliori, ampliano di consistenza estendendo gli orizzonti. Panorami su cui i bambini sono costantemente a sognare.
Lo scenario in cui si erano immersi innescava il buon umore degli studentelli, lasciandoli troppo meravigliati per esibirsi nella loro, seppur minuta, ignoranza. Per alcuni era la prima volta che posavano gli occhi su distese pallide. Ciò rendeva l’uscita magica, suscitando immensa curiosità davanti il fenomeno atmosferico. Era solo neve, eppure poteva significa tante cose ad esempio: freddo, per coloro che non amano l’inverno, sport, per alpinisti o sciatori, guadagno, per gestori di attività alberghiere e divertimento per i bambini. Questo sentimento era condiviso da tutti. Chi aveva conosciuto l’inverno in questa forma, o chi l’aveva visto secondo altro aspetto, non differiva minimamente nella maniera di approcciarcisi. Tutti afferravano la sabbia di montagna. Stringendola nei guanti la modellavano a sfera, chi meglio chi peggio, quasi sempre le sembianze assunte erano quelle di un geoide. Un piccolo pianeta modellato con cura in attesa di spappolarsi. Chissà dove sarebbero finiti tutti i microrganismi e batteri dimoranti al suo interno. Più di qualche albero, lungo il sentiero disseminato di cavità, era stato bersagliato volontariamente e meno, più d’uno per schivare il tiro aveva permesso che sulla corteccia si frangesse il colpo, mentre una coppia di ragazzini avevano bersagliato un paio di tronchi per migliorare il tiro. Un ramo s’infranse al loro passaggio, abbattuto da un ammasso niveo delle dimensioni di una patata. L’obiettivo non era tanto lo scricchiolio dell’arbusto, quanto la tentazione di cogliere lo scoiattolo in procinto di scalare il fusto. Vedere il roditore percosso gli avrebbe prodotto ilarità relativa all’infantile gesto. Sperava che la creatura non solo subisse il
danno, piombando al suolo avrebbe dovuto ricominciare la salita, sbeffeggiandola per i vani sforzi precedentemente compiuti. Il frammento di legno si impiantò a terra conficcandosi nel soffice strato in superfice. Il marmocchio, rodendo del lanciò impreciso, si accanì nei confronti del mammifero nell’esagerata maniera dei cani insistenti nell’abbagliare a chiunque e, come spesso capita, tra questi, vi è anche la medesima e minuta creatura. Ritentando con un ulteriore cumulo di ghiaccio si fermò nel corso della camminata. Il professore non l’aveva nemmeno notato rallentare, era troppo preso dal desiderio di stendersi per un paio di giorni. Il bricconcello accumulò abbastanza fiocchi da creare quella che ha detta sua era una “mega palla”. Scagliandola sulla crosta della pianta riprovava a scalfire l’animale, questa volta aveva ingrandito il volume del suo proiettile sperando non solo che l’estensione lo coprisse, ma puntando, in caso di scatto evasivo, ad ottenere la caduta dell’essere in quanto la grandezza, accuratamente appallottolata, secondo la sua logica, poteva scaturire vibrazioni nell’arbusto capaci di influire nella stabilità del pelosetto. Inutile dire che risultò un altro vano attacco. L’animale scattò in cima piazzandosi tra le file di rami emergenti. Zeppi e fogliame erano numerosi abbastanza da garantire riparo alla preda dell’umano. L’unica cosa in grado di oltrepassare quel rifugio sarebbe stato un sasso, abbastanza difficile da reperire costatando che tutto il suolo e ciò che poteva trovarsi su questo era coperto dalla nevicata. Poteva ritentare ma qualsiasi pallino di piccola mole sarebbe stato deragliato dal vento, mentre con una mole più grande era prevedibile che si sbriciolasse tra le sporgenze della pianta, prima di raggiungere il tronco. Anche trovando sassi della dimensione migliore avrebbe dovuto far i conti con la mira e le probabilità di prendere in pieno un bersaglio in movimento. La fortuna saliva su con l’animale ormai dileguatosi, benché il piccolo ancora provava nella sua missione. Senza migliorare alcunché ne aveva ricreata un’altra dalle misure pressoché identiche. La stava per tirare quando venne colpito alle spalle da un suo compagno. -Maledetto!- Esclamò voltandosi -Sai questa era per uno stupido scoiattolo, ma credo proprio che la tirerò a t…-.
Sbluf. Un tappeto bianco gli cadde in testa provocando lo sbeffeggiante sogghigno dell’amico, ancor più divertito dalla situazione. Sebbene si sentì umiliato, il bricconcello non perse altro tempo nei lamenti, il resto del gruppo continuava a camminare per cui era solo un danno a se stessi rimanere fermi, soprattutto in quel gelido boschetto. Si sgrullò di dosso precipitazione dell’abete a cui spezzò il ramo, ritirò le mani nel giubbetto e si diresse vicino la classe. Le file di arbusti posti ai lati del percorso cominciavano a diminuire. Procedendo accresceva la sensazione di vuoto, un’area troppo vasta per essere cosi desolata. Non vi era altro che il solito strato a coprire qualsiasi cosa fosse presente nell’area. Quella zona priva di caratterizzazione antropiche rendeva nei bambini un certo disagio, li privava dell’entusiasmo con cui avevano marciato fino a prima. Quanto meno la flora proteggeva da quei pensieri rivolti all’immenso. La cosa a preoccupare tanto i ragazzini non riguardava tanto paure reali, come l’essere aggrediti in un posto isolato o il rischio di finire sotterrati da una valanga. Ciò che li aggredì era quella sensazione di immenso che li riduceva a nientemeno che formiche, dinnanzi l’estensione del paesaggio naturale. La catena montuosa si estendeva come il limite massimo della loro storia, limitando lo scenario a quegli spiazzi in cui il professore li accompagnava, niente oltre ciò. Come se oltre quel sipario non si trovasse altro ghiaccio ma piuttosto un triste ed insoddisfacente nulla. L’immagine non era certo la migliore per la fantasia dei giovani. Limiti, perché mai dover fermare la propria curiosità a questi, eppure era quella la vista che gli si prostrava davanti. Un blocco oltre il quale non era ammesso passare. Sicuramente c’era maggior interesse, ed allegria, nell’idea spronata dal bosco. Il corridoio contornato di ceppi aveva lasciato ai bambini la libertà di immaginare gli scenari più amati. Ognuno aveva espresso una qualche fantasia, chi esplorando sperava di reperire pinguini e animali simili, chi sognava di passeggiare per la via del Polo Nord, o chi immaginava di esser tornato nell’era glaciale. Se le trasposizioni di Revenant e il Gioco del Trono fossero uscite prima della gita, invece di venir elaborate solo anni
successivi a ciò, almeno i maschi avrebbero giocato impersonando i ruoli di Hugh Glass e Jon Snow. Invece i pensieri di questi soffermarono la creatività attorno a Narnia. Per qualche ragione il paesaggio aveva sprigionato un collegamento tra loro, e verso uno specifico scenario. Eccetto uno tutti avevano visto il film, era apparente per il loro modo di girarsi, guadandosi intorno, una volta scesi dal pulmino. Erano rimasti incantati dalle tracce del freddo, avevano visto quel manto candido più nella televisione e nei videogiochi a dispetto della realtà. Era bello cogliere i sorrisi sui loro volti, erano dei bellissimi fiori sbocciati sotto la gelida temperatura di montagna. Un luogo inospitale era riuscito a riscaldare i loro cuori, sebbene fosse insolito l’apprezzamento di un posto cosi freddo e distaccato dalle agiatezze. La professoressa era lieta di quei sorrisi, li aveva ammirati il conducente e, a breve, li avrebbe gustati anche la ristoratrice presso cui alloggiavano. Forniva entusiasmo poter scorgere quell’espressione, se gli insegnanti e chiunque altro adulto (conscio anch’esso del valore di quel solco), fosse venuto a sapere dell’avvento degli smartphone, dei social network e di tutte le altre genialate virtuali, il tempo impiegato sugli sguardi dei bambini sarebbe stato maggiore, non ritenendo nemmeno un secondo di rimpianto per il tempo speso ad osservare qualcosa che mai più avrebbero rivisto. In aggiunta con tangibile naturalezza. Nel giro di cinque anni la classe sarebbe stata formata da scolaretti indaffarati con i cinguettii, presi dagli autoscatti da condividere con i loro seguaci, e in cerca di una rete immaginaria per pubblicare stati sulla loro esistenza. Tutta roba che in quella data, e le precedenti, sarebbe stato ridicolo. E non solo per i grandi ma anche per i soggetti principali di quel fenomeno. Rientrando in un’epoca ancora sconosciuta alle piattaforme sociali come Gossip e Fakeface, gli alunni scorrazzavano con entusiasmo causando il rimprovero dell’insegnante preoccupato che questi si ferissero o peggio finissero per perdersi. L’unico elemento in cui si persero fu quello dell’immaginazione. Sebbene non ci fossero lupi a fare le guardie, castori parlanti o fauni addobbati di
sciarpa loro fingevano in queste presenze, per cui più un vivace biondo esclamò -Inseguiamo il mezzo uomo mezzo pecora!- e altre buffonate affini. Di tutto il circondario non vi era nemmeno il lampione, un componente comunemente reperibile, con cui aggrapparsi a quella fantasia che riuscì lo stesso a prendere il volo. Uno studente venne perfino spaventato udendo -Ecco il leone!- allusione richiamante Aslan. Quasi giunti al termine del tragitto il professore cominciò a preoccuparsi, non per qualcosa inerente al viaggio o alla salute dei suoi tutelati, quanto alla quiete di questi per nulla affaticati e spronati a rompere le scatole con la tipica domanda “Siamo arrivati?!” in aggiunta quando è ovvio il contrario. Scesi dal veicolo non avevano più fiatato a proposito della distanza. Non sapeva per quale motivo, sin dalla partenza da scuola, l’avevano ripetuta con così tanta insistenza, riteneva dovesse essere solo una qualche forma di maleducazione unita alla completa spavalderia dei bambini per niente frenata dai comportamenti civili in cui ricascano gli adulti. Sebbene di maleducazione voluta non ce ne fosse, vi era un po’ di spavalderia, la stessa adottata dal ciuco parlante da cui attingevano influenza riproducendo i suoi versi. Ci mise un po’ per giungere all’evidente conclusione per cui nessuno apriva bocca domandandosi quanto ancora dovessero impiegare per raggiungere lo stabilimento. La naturale causa dipendeva dal fatto che non avessero nulla contro quell’attraversata, il percorso riusciva a garantire lo svago per cui non chiedersi “tra quanto arriviamo, quando possiamo divertirci?”, questo perché già stavano godendo della vacanza. Poco lontano dal gregge vi era il ritrovo in tutta la sua vasta pianura. Il passaggio contornato di flora si dilatò estendendosi in un enorme campo innevato in cui poter giocare sotto controllo. L’unica cosa che ricordavano i bambini era di aver svoltato a destra e poi sinistra dopo la muraglia rocciosa, per cui più di qualcuno si impietrì. Avevano camminato per molto tempo e fatto qualche altra svolta, ma non ricordavano bene dove. L’unico a conoscere la via era il professore. Tutti gli anni si recava presso quella vallata, dormiva presso il solito locale e faceva sempre il medesimo sport. Quest’anno, affiancato da una guida, era intenzionato a imparare ai
suoi allievi a sciare. A seconda del risultato ottenuto quei giorni avrebbe preso la decisione di riproporre la meta o lasciare alla scuola la scelta delle successive attività. Desiderava concludere con successo quell’esperienza, almeno in questa maniera avrebbe potuto usufruire della scuola, e della presenza degli alunni, per guadagnarsi una vacanza nel suo bianco paradiso dedicandosi alla sua passione, venendo comunque riconosciuto il tempo sul posto di lavoro e quindi retribuito con le spese a carico dell’istituto in cui insegnava. Ci teneva che i ragazzi stessero buoni evitando di generare grane. Pur di mostrare la tranquillità, e quindi la ripetibilità dell’itinerario, avrebbe mantenuto gli studenti nel perimetro visivo lasciandoli giusto giocare davanti al ritrovo, prima di riportarli in camera accurandosi che, una volta assopiti, non potessero uscire. Avrebbe eretto dei muri bianchi attorno porte e finestre pur di non passare guai per qualche bambino troppo vivace finito per disperdersi. Nessuno bambino, bambina o adulto doveva portargli via quel sogno, rovinandogli la vacanza e gli eventuali viaggi successivi. Era una bella prova. Aveva un foglio dello stesso colore di tutto ciò che lo circondava, quel pezzo candido doveva tornare a casa senza la benché minima macchia. Non un solo schizzo, di penna, di sangue o lacrima. Non poteva sporcarsi, ne sgualcirsi, ne valeva la sua reputazione. Questo doveva tornare puro allo stesso modo con cui si era addentrato nella foresta, puro come ci si immagina il carattere primi coloni del new england, dai pensieri casti e concetti puliti, senza la minima tentazione di peccare o anche solo buttare un semplice pensiero sui mali della vita. L’escursione doveva associarsi a quell’immagine, puritani sbarcati nel nuovo mondo per evadere dal peccato e le sue tentazioni. Infin dei conti, riflettendoci era alquanto improbabile che qualcuno potesse farsi male, finché gli avrebbero dato ascolto, e seguito i canoni della buona educazione di mamma e papà, nessuno poteva farsi male. Dopotutto c’era solo neve. Una vasta superfice di soffice neve ad attutire persino un’accidentale storta. Già solo neve.
Molto ben scritto, mi piace.
Hai uno stile molto personale.
Ti leggerò ancora.
Davvero interessante.
Complimenti