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«Il punto è chi di noi due ha più paura»
L’uomo alla guida sapeva che non sarebbe stato un viaggio piacevole, ma, d’altronde, una ragazza sola, di notte, su una strada solitaria… e così le aveva dato un passaggio.
«Voglio dire…» proseguì lei. Indossava una minigonna inguinale con fare spavaldo, troppo spavaldo per essere abituata a portarla. Nel suo alito c’erano tracce di alcool e fumo.
«Voglio dire…» ripeté «Potresti essere uno stupratore seriale, uno che aspetta le ragazzine fuori dalle discoteche cercando quelle che accettano passaggi dagli sconosciuti».
Lo guardò con fare beffardo. Non doveva aver bevuto molto: quel tanto che bastava ad infonderle una strafottenza che, altrimenti, non avrebbe avuto. A darle il coraggio di affrontare il rito adolescenziale della trasgressione. Adolescenziale, sì, anche se doveva avere sedici, diciassette anni. Oggigiorno l’adolescenza durava a lungo.
«Di’, non sarai sul serio un violentatore?» insistette.
Lui sospirò appena. La strada davanti a loro si allungava nella notte come se qualcuno la tirasse verso di sé dall’altro capo dell’orizzonte.
«Non lo sono» rispose.
«Certo che no» convenne la ragazza. «Non hai il fisico».
Con quel po’ di pancetta, il nodo della cravatta che emergeva storto dal gilet e la camicia sgualcita, doveva rappresentare il bersaglio ideale per prese in giro e battutacce. Almeno non guidava col cappello in testa.
«Hai un Kleenex?» chiese la ragazza e, contemporaneamente, si sporse cercando di aprire il vano portaoggetti, che resistette.
«È mezzo rotto» spiegò l’uomo «Si apre quando vuole lui».
La ragazza sbuffò, cercò una sigaretta nella borsa e si guardò intorno alla ricerca dell’accendino, che non c’era.
«Per la miseria, ma quanti anni ha questo catorcio?»
«Ho smesso di fumare, mi spiace» disse lui.
«Oh, un borghese salutista».
L’uomo rallentò. Non c’era molta nebbia, ma era in banchi. Masse compatte e improvvise come boccate di pipa.
La ragazza armeggiò con l’autoradio «È di quelle estraibili» disse «Non ne vedevo da secoli… cribbio, persino la musica è giurassica. Non riesci a captare una stazione decente?».
«Non credo dipenda da me» rispose lui. Stavano attraversando un paesino, uno di quei gruppuscoli di case piantati nel bel mezzo di una pianura vuota come un foglio di carta su cui nessuno ha scritto niente.
«No… non dirmelo… funziona quando vuole lei». Le ultime case scomparvero alle loro spalle. Solo una finestra era accesa, come l’occhio infuocato di gigante guercio.
La ragazza si stiracchiò. Borchie, catene e pendagli tintinnarono giulivi. «Magari sono io quella pericolosa. Una rapinatrice. Un’assassina, come in quel film. O magari una stupratrice seriale».
Lui parve osservarla per la prima volta. Doveva avere i capelli chiari, ma se li era tinti di scuro. Anche il trucco evidenziava il pallore. Dentro quei vestiti sembrava uno spaghetto al nero di seppia. «Ehi… forse sono un’autostoppista fantasma. Dopotutto è la notte di Halloween».
«Davvero?» chiese l’uomo «Non l’avrei mai detto».
La ragazza gli fece una smorfia e riprese a tormentare le manopole dell’autoradio. «E questa che roba è?» chiese tendendo l’orecchio tra un fruscio elettrostatico e l’altro. «Dead man driving…mai sentita. Ehi, magari sei tu lo spettro. Ci sono così tante storie sull’autostoppista fantasma che, per le strade, dovrebbero esserci più spiriti che battone. Un conducente fantasma sarebbe qualcosa di nuovo».
L’uomo si concentrò sulla guida. Erano entrati in un’altra zona di nebbia. «Credo di no. Mi pare che qualcuno abbia già scritto una storia simile. Non si inventa mai niente».
La radio riprese a gracchiare come se, dentro, ci fosse uno stormo di corvi bruciati vivi e la ragazza la spense con rabbia. «Giusto» convenne «Non c’è mai nulla di veramente nuovo».
L’uomo sorrise per la prima volta, senza smettere di guardare la strada. «Lo diceva anche mia figlia e, ai miei tempi, l’ho detto anch’io. Lo diciamo sempre tutti e tutti crediamo di essere gli unici».
La ragazza non ribatté. L’auto correva tranquilla, come cercando di raggiungere la luce dei fari, e il suono delle ruote sull’asfalto umidiccio pareva l’unico rumore nell’universo.
«Senti…» disse la ragazza «Non te la sarai presa perché ti ho sfottuto un po’, vero? Insomma, non vorrei che ti fossi fatto un’idea sbagliata di me». Si aggiustò i capelli. La ricrescita era davvero più chiara, quasi sul biondo. «Il fatto è che avevo una paura dannata. Non sai quante auto ho lasciato passare. Un paio di volte sono stata sul punto di tornare a quella festa, solo che… le cose stavano per andare un po’ troppo oltre, là dentro, capisci?».
Allungò la mano verso il cruscotto, cercando un pulsante che mancava, poi impugnò l’alzacristalli manuale. Rivolse all’uomo un cenno interrogativo e, quando lui annuì, aprì il finestrino. L’aria della notte entrò nell’abitacolo, spazzando via l’odore del tabacco e dell’alcool.
«Credo che sia come hai detto. Una cerca di vivere a prescindere dai propri vecchi, così dice cose come “non me ne frega niente di voi, proprio come a voi non frega niente di me ”, solo che non è vero, si sa… gli si spezzerebbe il cuore se…».
Il vano portaoggetti si aprì.
Ne uscirono fazzoletti di carta, mappe stradali, matite smangiate, cassette musicali coi nastri che sporgevano come lingue ansanti, una foto dalle tinte, tra il rosso e il marrone, che assumono tutte le istantanee dopo qualche tempo.
La ragazza la raccolse, studiando la donna ritratta, la cui gioventù, ormai, doveva essere sbiadita come quei colori.
L’uomo rallentò, dirigendosi verso una massa più scura e squadrata che si elevava nel buio a lato della strada. Accostò.
«Mia figlia» spiegò «Se le avessi permesso di uscire non sarebbe sgattaiolata fuori casa di nascosto. Magari, al ritorno, l’avrei accompagnata io e… be’, forse sarebbe finita diversamente. È proprio come hai detto. Una faccenda da spezzare il cuore».
La ragazza si agitò, cercando la sicura della portiera.
«Tranquilla» disse l’uomo «Va tutto bene. È solo che sei arrivata».
Lei lo fissò e lui distolse lo sguardo. Dio, quanto odiava quel momento. L’istante in cui capivano.
«Non lo so, ragazza» disse prevenendo la domanda che gli ponevano tutti, sempre. «Non so se, dall’altra parte, troverai un giardino ubertoso o la grande ruota del karma o chissà cos’altro. Io do solo passaggi. Guido questa bagnarola da… lo hai detto anche tu che ha un mucchio di anni… ma non so come funzioni, esattamente. Non so come è iniziata e non so quando finirà. Forse quando vi avrò accompagnato tutti a destinazione o forse quando sarò riuscito a dare un passaggio a mia figlia».
La ragazza annuì, lentamente, poi, con un movimento straordinariamente fluido (qualcuno avrebbe detto fluido in modo soprannaturale) aprì la portiera e si diresse verso il cimitero, quindi, senza voltarsi, entrò.
Lui attese un istante dopo che fu svanita, poi rimise in moto e partì.
Quella faccenda era dannatamente pesante, ogni tanto.
Tutti quei ragazzi morti, troppo presto e troppo male, e tutte quelle strade…
Sì, la detestava proprio.
E, quel che era peggio, a volte sembrava non dovesse finire mai.

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Rubrus
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Il romanzesco è la verità dentro la bugia (S. King - It) Commento, ma i commenti non appaiono. Non so perchè.

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3 Comments

  1. Rubrus
    Rubrus

    Provo ad approfittare del commento per ringraziare e per dire che, inspiegabilmente, benchè scriva il commento e poi clicchi su “Pubbica il commento”, il commento non appare. Non so se sbaglio io o è colpa del sistema.