La giornata era buona, alcune nuvole occhieggiavano attraverso la chioma degli alberi nello sfondo del cielo azzurro, alberi arrossati dall’autunno, in un concerto di colori bruni che mi faceva stare bene.
Il viale sembrava essere infinito; i due filari di alberi accompagnavano la strada ricoperta da sassolini che sembravano essere stati distribuiti uno a uno sulla carreggiata tanto erano precisi nella loro distribuzione.
I miei passi, malgrado producessero un rumore stridulo, non lasciavano impronte, e ora che guardavo meglio, sembrava che quei sassolini si lamentassero quando li pestavo e alcune volte mi sembrava di cogliere delle imprecazioni dopo che ero passato, in effetti quei sassolini si muovevano ridistribuendosi sul selciato, riprendendo la loro posizione, agitandosi tra di loro come per accucciarsi nel loro piccolo nido, stringendosi l’uno all’altro, lanciandomi occhiate corrucciate per poi chiudere gli occhietti aguzzi e riprendere il loro compito di sassolini.
Ero stupito e divertito, ma anche un po angosciato per avere calpestato qelle piccole creature, ma erano sassi, e i sassi sono duri e fieri, e malgrado tutto avrebbero ben sopportato i passi delle mie pantofole.
Ai lati del viale i prati a perdita d’occhio erano punteggiati di alberi, alcuni alti e frondosi, carichi di foglie brune, altri più piccoli ancora con qualche ciuffo verde a ricordare la bella stagione appena passata, detti alberi correvano per i prati, quasi a rincorrersi, spargendo foglie secche ovunque passassero; sapevo benissimo che non poteva succedere una cosa del genere, ma chissà perché mi sembrava proprio una cosa normalissima, tale che mi strappò un sorriso.
Respiravo a pieni polmoni, l’aria fresca autunnale era un benessere dopo i mesi estivi torridi.
Man mano che procedevo verso la fine del viale, anche se non conoscevo né il viale, né il posto, sapevo che proprio la, in fondo, avrei trovato un lago, un grande lago azzurro, dove avrei potuto fermarmi a riposare lungo le rive sabbiose, sempre che quel portone che si stagliava nel bel mezzo del viale non mi ostruisse il passaggio.
Inconsciamente allungai il passo, e man mano che mi avvicinavo, cominciai a intravedere la figura di un uomo, no, non un uomo, era… era… Un Nano.
Il Nano, ora che lo vedevo meglio, passeggiava avanti e indietro, come a guardia del portone, aveva sulle spalle un grosso martello, un bel martellone luccicante. Mi bloccai. Quando mi vide in lontananza, il Nano si fermò, fece scorrere dalle spalle il martellone e lo tenne con due mani per il lungo manico, poi appoggiò il manico al terreno in maniera che potesse appoggiari con le mani sulla mazza, poi una delle mani se la portò alla fronte riparandosi dai riflessi del sole che filtravano tra i rami degli alberi.
Mi fermai, quel nano non aveva nulla di rassicurante. Poi vidi che mi faceva cenno di avvicinarmi, e mi urlò qualcosa, ma mi arrivò solo un eco indistinto. Io ero ancora fermo, titubante sul da farsi: passino i sassolini vivi, gli alberi che si muovevano, ma un nano vestito da samurai con un grosso martello, beh, sinceramente era davvero inusuale.
Vidi che con il braccio alzato faceva alcuni gesti in aria, e a risposta di quei gesti, udii degli scricchiolii sinistri che venivano dalla mia destra e sinistra: ero paralizzato. Che stava succedendo? Con la coda dell’occhio vidi gli alberi chinarsi, e quasi gentilmente con le fronde mi invitarono ad avanzare sospingendomi con i rami, alcuni gentilmente, altri un po meno altri incoraggiandomi con colpetti sulle spalle, mi sembrava che dai tronchi spuntassero occhi, naso e bocca, alcuni mi strizzavano d’occhio, altri mi facevano linguacce, altri mi guardavano solo con noncuranza, quasi infastiditi dalla mia presenza e dal fatto che il nano gli avesse chiesto di sospingermi verso di lui. Mentre avanzavo guardavo a destra e a sinistra in cerca di una via di fuga, ma come a leggermi nella mente gli alberi mi facevano cenno di no, sicuri della loro forza e dal fatto che mi avrebbero di certo bloccato.
E così arrivai al cospetto del nano.
– Sei sordo? – mi chiese il barbuto nano.
Stava a gambe larghe in posizione di attenzione con gli avambracci che appoggiavano sulla mazza e la barba che la ricopriva, una lunga e fluente barba. Proprio una bella barba.
-Vuoi spostare quel cespuglio dalla mia faccia? – disse una voce metallica che non si capiva da dove fosse provenuta. – Non vedo nulla, chi è questo tipo? –
Con una mano il nano scoprì la mazza del martello scostando la barba. Un paio di occhi vispi ma severi mi stavano scrutando, la mazza sbatté le palpebre quasi come se non avesse mai visto un essere come quello che gli stava di fronte; quell’essere ero io.
– Chi è questo… coso? – disse di nuovo rivolgendosi al nano.
– Bho! – disse il nano; – Forse è l’inviato di Lui –
– Troppo magro, troppo alto, anche troppo felice – disse il martellone.
Mi resi conto in quel momento che avevo in tutta probabilità un’espressione da ebete. D’altra parte con tutto quello che avevo visto un martello che parla con un nano non avrebbe dovuto stupirmi poi troppo.
Il nano emise un grugnito e un vigoroso rutto. – Tutto è possibile, Lui è imprevedibile. –
A quel punto qualcosa sbucò dal fosso al di la degli alberi e saltellando e gracchiando e tra un gracidare e un “hop” una grossa rana si fermò a un passo dal nano e guardandolo chiese: – E’ lui? – dopo una breve pausa imbarazzata i tre dissero – Naaaaaa! – e subito si misero a ridacchiare.
E a quel punto arrivò il gatto. Un bel gattone bianco, con un andatura signorile, la coda dritta e le orecchie attente e gli occhi azzurro cielo incredibilmente strabici.
– Che avete da ridere? – disse il bianco con tono autoritario.
– Questo coso, non riusciamo a capire se lo manda Lui o ci è venuto da solo – disse il martellone.
Il gatto mi si avvicinò, fece un giro intorno ai miei piedi, si fregò alla mia gamba, si sedette alzò una gamba posteriore e si mise a leccarsi il didietro.
– Blheeee – dissero i tre che lo guardavano.
La rana ebbe un conato di vomito, il martellone emise un rumore metallico e il nano impassibile disse al gatto: – Potresti non fare toilette in pubblico? – Il gatto smise per un attimo di leccarsi e si rivolse al nano: – Non lo faccio mica leccare a te. – e si rimise in piedi avvicinandosi agli altri tre.
– Scusate, – dissi, – ma, voi, chi siete? –
– I guardiani della porta, chi altro potremmo essere? –
– Ok, – dissi, – ma io dovrei passare la porta. –
– Mi spiace – disse la rana – Ma senza autorizzazione la porta non si può oltrepassare. –
– Dove posso prendere questa autorizzazione? – chiesi.
– Che domande, – disse il gatto, – Lui, solo Lui può darla. –
– E dove lo trovo Lui? –
– Non è affare nostro. – disse il martello.
– Se mi dite dove posso trovarlo forse mi darà l’autorizzazione a passare. –
– Non credo. – disse il nano – Non credo tu sia pronto.-
– Io devo passare! – dissi e mi scagliai in avanti.
Il nano alzò una mano e con un gran soffio scatenò un vento potente che mi prese e mi fece turbinare in aria.
Una donna robusta vestita di bianco si avvicinò al letto, il paziente era scosso da convulsioni:- Dottore, venga. Il paziente si agita di nuovo. –
– Ha perso la mascherina! – disse un infermiere mentre cercava di rimetterla sul viso.
– Un’iniezione di tranquillante, doppia dose stavolta, presto. –
– Si dottore. –
Mentre l’infermiere lo teneva, l’ago entrò nell’avambraccio e il liquido sparì nelle vene.
La giornata era buona, alcune nuvole occhieggiavano attraverso la chioma degli alberi nello sfondo del cielo azzurro, alberi arrossati dall’autunno, in un concerto di colori bruni che mi faceva stare bene…

Un passo ,ad un passo dal baratro ,molto intenso ,ok
[ #Gold ] Alcano ha donato 3 oro per questo post.
Un gran bel lavoro, la parte sui sassolini parlanti è magistrale, e la metafora del grande viaggio è condita con ironia e malinconia.
Scrivi in maniera perfetta, permettimi di farti i complimenti.
Al
La fine del viale, o l’inizio….. Bel lavoro
Davvero molti complimenti, sei davvero bravo. Anche io ho scritto un paio di storie. Se ti va puoi darci un’occhiata.