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Il tempio che il Maestro aveva costruito per compiacere Angelica e la sua divinità pagana era la cosa più lugubre e spettrale che si fosse mai veduta prima in quelle terre. Piantata nel cuore della Taiga norvegese, a trenta chilometri da Trondheim, alle pendici del monte Storheia, si ergeva tetro in quella luminoso pomeriggio.

Dal di fuori la cattedrale era un raffinatissimo esempio di arte altomedioevale vichinga; la pianta era complessa, formata da un cerchio intersecante un quadrato che a sua volta poggiava su di un rettangolo posto trasversalmente. Nella sua semplicità però era molto articolata, mentre i muri di legno del cerchio, alti poco più di due metri, reggevano dei tetti a cono sovrapposti che si lanciavano decisi verso il cielo, così la sezione quadrata supportava in tetto a piramide composto di tre sezioni mentre il rettangolo, l’unico a due piani, diversamente dagli altri due che erano coperti da tavelle di betulla che fungevano da tegole, aveva un semplice tetto di paglia. Era stato colorato di nero, dal rivestimento esterno alle tavelle di copertura e addirittura la paglia, tutto era stato ricoperto da due mani buone di catrame, quello che si usa per calafatare i vascelli e impermeabilizzarsi all’umidità e alla salsedine. Era una grande cosa nera.

L’ingresso e le camere dei sacerdoti erano nella parte rettangolare, in cui si trovavano anche un altare e dei sedili; la parte tonda era adibita a qualcosa che sembrava una sala di tortura. Lunghe catene di ferro come viscidi serpenti scendevano dalle travi di legno di quercia che reggevano il tetto, alcune panche  segnavano il perimetro della stanza e, anche da dove l’uomo si trovava, sulla soglia dell’ingresso, si poteva notare che, su quei catafalchi scarni più di un uomo aveva perso del sangue e altri fluidi corporali; ad accentuare la spiacevolezza di quell’ambiente, il buio, rotto soltanto da tre torce e da un grande braciere al centro della stanza, da cui si sprigionava un effluvio che intorpidiva i sensi.

In contrasto con gli ambienti così lugubri e semplici, la parte più interna, quella dove ora si trovava Angelica era rotonda e decorata con stucchi e marmi pregiati:

“Mia signora, il Maestro è arrivato”. La calda voce maschia di Haggert giunse alle spalle della sacerdotessa assorta nei suoi pensieri, facendola sobbalzare. Si riprese in un istante, si voltò verso il druido e, col volto corrucciato rispose.

“Fallo entrare immediatamente”.

Il capo dei druidi si allontanò sparendo nel cono cieco dalla luce che le poche tede accese attaccate alle pareti spandevano intorno. Rientrò poco dopo, mentre con fare assolutamente servile introduceva un uomo completamente avvolto da un mantello nero come la notte su cui affondava il pesante cappuccio, talmente grande da nascondere il volto dell’ospite. Poi, appena Angelica si mosse verso la figura misteriosa, Haggert si ritirò in buon ordine, senza aver proferito alcuna parola.

“E’ un piacere rivederti dopo tutto questo tempo, mia cara amica”. Il tono era estremamente cordiale ma comunque Angelica trasalì per l’emozione di trovarsi davanti un uomo di così grande potere.

“Qualcuno l’ha vista entrare, Maestro?” Chiese preoccupata “Questa è la fase più delicata del nostro piano e non vorrei avere spiacevoli sorprese!”

“Non preoccuparti, nessuno sa che sono qui…a parte quel tuo sacerdote, Haggert. Vuoi che lo faccia uccidere?

Angelica trasalì: “No Maestro, le posso assicurare che Haggert è l’uomo più fedele che esista, darebbe la vita per me e per il nostro progetto”.

“Per te non ho alcun dubbio”. Sogghignò l’uomo.

“Vuole vedere i nostri progressi?” Svicolò abilmente Angelica.

“Sia come tu vuoi, anche se, a dire il vero sono qui per questo”.

“Venga con me “. Visibilmente sollevata la strega si diresse verso la parete curva che gli si parava di fronte, come tutto il resto di quell’ambiente era ricoperta di arazzi pregiati e ornata con boiserie di travertino e marmo rosso, intercalati da listelli d’oro massiccio. Si avvicinò a una statuetta poggiata su di un piedistallo in argento; raffigurava un grifone nell’atto di ghermire una preda umana, una donna delicata che tentava di proteggersi dal mostro frapponendo le esili braccia come ultima difesa. La ruotò in senso orario di un quarto di giro e, quando l’eco dell’ultimo scatto si spense nella grande sala, uno dei pannelli di cui era ornato il muro si scosse leggermente, per poi infilarsi all’interno della parete lasciando scoperto un passaggio, buio come una notte senza luna, che dava su una stretta scalinata. Si incamminarono in quel budello con l’unico ausilio di un candelabro a due luci, i gradini erano resi scivolosi da una tenace muffa, quindi scesero con accortezza, senza però nemmeno sfiorare il muro ai lati. La strega teneva, volutamente, la torcia puntata verso il basso per guardare dove il Maestro metteva i piedi, ma soprattutto perché non vedesse le pareti. Nella densa penombra aveva notato, con la coda dell’occhio, strane macchie muoversi velocemente.

“Da molto tempo nessuno ha messo più piede in questa scalinata e neppure nella sala a cui essa porta. E’ l’ambiente che avevamo riservato per le sue visite”.

“Sono stato impegnato su altri fronti amica, non credere sia facile ordire una rivolta su questa scala”. La rimproverò con voce tonante.

Solo pochi gradini più in basso una piccola porta di metallo bloccò il loro passo. La strega prese una chiave d’oro dalla cintola e l’infilò nella toppa, facendole fare alcuni giri, che gracchiarono metallici nel buio, poi la porta si aprì rivelando una stanza piccola ma, se possibile, ancora più preziosa di quella che avevano appena lasciato.

Una intera parete era, in pratica, unicamente un gran finestrone che, nella parte non interrata riusciva a dare verso l’esterno, da dove arrivava la calda luce del sole pomeridiano che illuminava le candide pareti ornate da cornici d’oro zecchino e da arazzi multicolori. Alcune statue di pregevole fattura punteggiavano qui e là il prezioso pavimento, in effetti una consistente trina di ragnatele che le circondava come un pericoloso sudario confermava le parole di Angelica sull’abbandono di quel posto.

Lei si fermò al centro, proprio su un grande rosone istoriato che esaltava dall’impiantito di marmo bianco screziato da venature dorate e si voltò verso il Maestro. Neppure da quella posizione riusciva a vederne il volto, ne avrebbe potuto perché era coperto da una maschera scura che si confondeva nel buio del cappuccio.

“Perché tutto questo anonimato?” Si scoprì a chiedere, tradendo con la voce un pensiero che da sempre si agitava nella sua testa. Lui non si scompose, quasi attendesse da tempo quella domanda: “L’anonimato è la migliore garanzia della riuscita del nostro piano.  Posseggo ricchezze oltre la tua comprensione e questo ha fatto di me un uomo molto in vista, e pieno di nemici. Nessuno è al corrente di quello che intendo fare, se non tu e i tuoi stregoni: mi proteggo da voi e al contempo proteggo voi dai miei nemici; mi pare un compromesso soddisfacente”. In risposta a quella frase si spostò dalla splendida donna e si pose in una zona d’ombra.

“Tu, mia preziosa alleata, sei potente ma la Chiesa possiede imponenti guerrieri addestrati per difenderne le fondamenta, inoltre sta cercando alleati anche nel grande Nord, per potersi ulteriormente rafforzare. Dovremo agire d’astuzia, prima che di forza”.

Ho compreso Maestro” mentì Angelica

“Ecco il suo esercito!” Disse la donna spalancando una piccola porticina proprio di fronte a loro che dava su di una grande sala scura scavata nella roccia per svariati cubiti.

Subito un fetore di sangue e di umori vitali, unita a puzza di carbone, di muffa e di umidità travolsero le delicate narici di  Angelica, che trovò questo nauseabondo olezzo decisamente eccitante. Poche tede accese appese casualmente alle pareti facevano più fumo che luce, un’orda di uomini con sai di colore bianco sporco si muovevano freneticamente avanti e indietro, chi mescolando calderoni pieni di liquido fumante posti sotto altrettanti fuochi, chi schiacciando erbe, chi nutrendo strane creature chiuse in prigioni robuste. Anzi, quasi la metà dell’intero spazio era costituito da decine di gabbie. Sforzando la vista il Maestro notò che, solo poche erano vuote, le altre erano piene di uomini…o qualcos’altro. Alcuni di quegli strani esseri erano rannicchiati sui loro pagliericci, altri erano intenti a cibarsi di tranci di carne fresca ancora grondante sangue.

Altri infine, non gradendo la prigionia emettevano guattiti gutturali e lugubri latrati mentre percuotevano a mani nude le spesse sbarre che li privavano della libertà. Il più vicino a lui, illuminato da una torcia molto prossima, si accorse di essere osservato, bloccò l’assalto alla cella e volse lo sguardo verso Angelica, fissandola. Tanta era la rabbia e l’odio in quegli occhi azzurri non più umani che il sangue della donna, loro creatrice, si gelò nelle vene. Il volto dell’uomo ormai era più simile al muso di un orrendo animale, un lupo, forse.

O forse un orso.

Era irto di peli ispidi e con grandi orecchie a punta, la bocca sporgeva all’infuori ed era guarnita di possenti zanne coperte da una bava giallastra e dal sangue del suo recente pasto. Emettendo un grugnito sordo si spostò verso di lei, i movimenti sembravano irreali per quanto erano sinuosi e letalmente veloci.

Le sue zampe estremamente muscolose ricordavano quelle di un lupo. Le braccia, altrettanto possenti terminavano con grinfie dotate di terrificanti artigli, che lui fece stridere contro il metallo della sua costrizione, emettendo un acuto rumore. Poi, all’improvviso si gettò verso Angelica, con una rabbia tanto incontenibile da fargli dimenticare di essere rinchiuso, infatti cozzò pesantemente contro le spranghe, anche se le sue braccia, buttate all’esterno tentarono di raggiungere la sua carceriera, graffiando l’aria umida

“Guardi bene, eccellenza” disse orgogliosa “questo è il suo esercito, nulla al mondo li potrà fermare!”

Ma l’uomo era disattento, stava guardando altro. Sul lato destro della grotta, seminascosta dall’oscurità una fila di ragazze, appese a un lungo timone di quercia tenuto a tre metri dal suolo da catene agganciate al soffitto, venivano sadicamente martoriate e private del sangue presente nei loro sfortunati corpi. Quell’essenza vitale veniva raccolta in grossi catini posti ai loro piedi, esattamente come si farebbe con gli animali da macello. Quelle il cui cuore aveva ceduto di schianto e quelle prosciugate del fluido vitale fino alla morte erano ammonticchiate inerti vicino a un ceppo di legno dove uno stregone druido, con la candida tunica completamente inzaccherata di macchie cremisi, le squartava con una pesante mannaia e le porzionava per preparare il pasto ai mostri rinchiusi. Alcuni suoi aiutanti stavano caricando su una carriola di legno i pezzi già pronti e li portavano agli esseri chiusi in gabbia che si tuffavano voraci sui tranci delle fanciulle per dilaniarle.

“A quale punto del loro addestramento sono?” Chiese l’uomo mascherato.

“Tra pochi mesi sarà concluso e i miei licantropi eseguiranno ogni suo ordine; ma fino ad allora è meglio essere molto prudenti, per loro noi siamo solo carne di cui cibarsi”.

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Alcano
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Cinquantasette anni e un sacco di e-book all'attivo, scrivo solo per passione e per appassionare, per dimostrare che si è sempre giovani per scrivere.

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