Il richiamo all’Arca dell’Alleanza fu immediato e tra i due archeologi serpeggiò un’incredula euforia; Damian sembrò riconoscere in quella stanza il Sancta Sanctorum, la segretissima cella sotterranea in cui i leviti collocarono l’arca per proteggerla dall’invasione avvenuta probabilmente nel 587 a.C. da parte delle armate babilonesi che sconfissero gli ebrei e li depredarono di ogni bene.
Stefania non ne era convinta del tutto, ma tacque, tanto non aveva nulla di serio da dire, preferiva ammirare estasiata il mitologico oggetto.
“Forse sbaglio!” Si corresse l’archeologo quando il sangue, che si era bloccato per la sorpresa, si sciolse e continuò a circolare, arrivando al cervello. “Il Santo dei Santi, almeno questo narra la Tanach era la parte più interna e sacra del tempio di Gerusalemme, cosa ci fa una stanza simile nel mezzo del deserto turco?”.
Memori dei passi della Bibbia, nessuno di loro si avvicinò all’oggetto, per quanto avessero voluto toccarlo, accarezzarlo e studiarlo, la maledizione che accompagnava l’arca li bloccò!
Fu in quel momento che una cosa strana accadde, Stefania, da sempre ritenuta da Damian un arrivista disposta a tutto per una sua pubblicazione sulle riviste specializzate, si avvicinò all’oggetto; un’aura vibrante pareva emanare dal sacro artefatto, la stessa potente energia che era stata in grado di abbattere le gigantesche mura di Gerico. Lei per un attimo si fermò, anche perché l’uomo la stava trattenendo per il braccio.
“Che cosa stai facendo, sei pazza?” Lei lo guardò con un’aria che pareva compatimento.
“Non capisci Damian? Siamo davanti alla più grande scoperta di sempre, qualcosa in grado di spiegare le origini della mitologia e della religione dell’intera umanità; e forse anche di più!”.
Lui ancora non si separò “Lasciami andare ti prego, è questo il motivo per cui sono nata; e anche tu!” Le parole s’infilarono veloci nel cuore di Damian riportando alla mente gli antichi sentimenti di conoscenza e scoperta che l’avevano fatto divenire un archeologo; sentimenti affossati da scartoffie e da meschine invidie.
“Hai ragione, come sempre!” Si avvicinò a Stefania, pur non abbandonando il contatto col suo braccio. “Andiamo!”
Si fecero avanti, tutto pareva loro vibrare intorno, una strana foschia si era formata misteriosamente; poi compresero che, in realtà gli occhi inumiditi dall’emozione o da qualche forza strana stavano giocando loro qualcosa di simile a un miraggio: dopotutto con quale cuore un uomo si può avvicinare a una tale forza senza temere per la propria vita?
Oramai erano vicini; molto, forse troppo, tornare indietro non era un’opzione da considerare, così inspiegabilmente Damian allungò la propria mano e toccò l’oggetto.
Nulla, le forze che parevano aver posseduto l’artefatto si erano dileguate, oppure era stato tutto un frutto dell’immaginazione e della superstizione, inutile aggiungere che i due trassero un profondo sospiro di sollievo.
Lo scrigno non aveva serrature ma il coperchio era bloccato da un grande sigillo in gommalacca ancora stupendamente conservato, tanto da non presentare le classiche crepe del tempo, che recava impresso come stampiglio unicamente la figura ondeggiante di un serpente. Aprirlo fu facile, nonostante tutto il tempo che aveva passato sepolto nel deserto: solo un sinistro scricchiolio annunciò che il coperchio dell’arca si stava alzando svelando il suo segreto.
“Guarda!” Stefania indirizzò la luce della torcia nel ventre dell’oggetto. C’era qualcosa all’interno di quell’incavo che pure era ricoperto d’oro; Damian infilò il braccio ed estrasse ciò che vi era contenuto: uno strano oggetto simile a una sottile lastra di metallo, della misura di un grande brogliaccio spesso un centimetro sul bordo del quale si vedevano in rilievo un consistente numero di strani segni, uguali a quelli trovati nel corridoio. Al centro, nella parte superiore era incisa una spirale contornata da graffiti e sotto di essa una griglia composta di dodici quadrati in larghezza per otto d’altezza, nel cui interno figuravano pesantemente scavati nel tenero metallo strani glifi, uno diverso dall’altro.
“Che lingua è?” Si chiese Stefania. Rigirandola tra le mani non poté fare a meno di notare che, nonostante le dimensioni esigue, il peso era davvero notevole.
“Questo edificio anticipa la cultura di Ubaid di parecchi secoli, andando a collocarsi nel 5° o 6° millennio avanti Cristo. È una scoperta incredibile, che sconvolgerà dalle fondamenta l’intero mondo scientifico!” Profetizzò Damian “Pubblicheranno le mie ricerche su tutte le più importanti riviste del settore e il mio nome comparirà su ogni libro di archeologia!”.
Oramai Damian Morgan era partito per un mondo tutto suo, Stefania invece continuava a soppesare e valutare quello strano oggetto. In una qualche parte ancestrale del cervello sentiva che quella cosa era misteriosamente importante, ben oltre il suo intrinseco valore scientifico e accademico.
Un’archeologa par suo sapeva bene che, nelle culture più antiche la spirale, e la sua emanazione posteriore, il labirinto, erano ritenuti segni magici, una sorta di percorso da compiere per arrivare all’illuminazione, il tragitto che permetteva di raggiungere uno stato di coscienza superiore.
Gli altri glifi, però, non evocavano nulla in lei, non li aveva mai visti da nessun’altra parte, e di libri sull’argomento ne aveva letti a bizzeffe!
Distolse la mente da quel pensiero, che era divenuto troppo intenso e pregnante.
Avrebbe avuto modo di studiare tutto approfonditamente, una volta tornata a casa.
Dopotutto quella era una scoperta che avrebbe rivoluzionato l’intero pensiero e tutta la storia dell’origine dell’uomo!
“Fammi vedere la tavoletta, per piacere”. La voce di Damian era divenuta fredda, anche se gentile, l’accademico serio che si nascondeva in qualche parte del suo cervello aveva notato qualcosa di strano; Stefania se ne accorse e con qualche difficoltà nello staccarsi dall’oggetto, glielo porse.
Lui lo guardò da ogni punto di vista, chiedendo alla collega di dirigere il fascio di luce della torcia sulla tavoletta mentre lui la ispezionava attentamente.
“So che lingua è; per la miseria, conosco questi caratteri!”.
Stefania era sbigottita, così lui, con uno sguardo accondiscendente e senza preoccuparsi della gente che, sulla superficie del deserto attendeva loro notizie, decise di raccontare quanto sapeva alla collega. “Che aspettino pure, tanto qua sotto fa molto fresco “Pensò.
“Conosci la leggenda sulla Torre di Babele, giusto? Dopotutto è stata una tua intuizione ritenere questo edificio la mitologica ziqqurat. “
“Giusto, e allora?”
“Nella Genesi, capitolo undici, versetti dall’uno al nove si legge testualmente: Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.
“Mio Dio, tu conosci la bibbia a memoria?”.
“Certo, perché, tu no? Adesso però pensiamo ad altro. Come ti dicevo il Signore punì l’uomo per la sua superbia, ma quale fu realmente il suo atto di presunzione? Se prendiamo l’esegesi ebraica dell’avvenimento, si legge che, a un certo punto del suo sviluppo l’uomo volle comprendere il potere dei nomi di Dio e con la potenza del Suo verbo, governare gli arcangeli che dovevano unicamente sottostare alla Volontà divina, l’uomo volle imparare l’Alfabeto Enochiano, il linguaggio degli arcangeli. Capisci ora cosa abbiamo tra le mani?”



 alcano
                      alcano                    

Continuato a leggere ancora poiché interessante.
Ed ecco finalmente che finisco.
Spero che vi diverta e che faccia qualche punto.
A dire il vero non è ancora finito…ho finito io i crediti per pubblicare.
Ah anche io li finisco!Ecco xké ti puoi trovare commenti strani miei. Sono escogitati appunto per avere post…
Ebbravo FilippoArmaioli; questo trucchetto l’ho usato anch’io; ma incredibilmente funziona, Owntale è il sito con il maggior numero di commenti che io abbia mai visto.