Nelle chiare notti di luna arriva.
Entra nelle case, va e viene e si premunisce di non lasciar troppe tracce. Non porta doni, come una befana o una fatina dei denti. Si limita a spolverare un mobile, se sente un’aria di positività nell’aria. Altrimenti, se percepisce d’esser detestata, ruba un oggetto, spesso quello di maggior valore. La Sgnafa dorme nelle nostre case, in ognuna di esse, restando in un cantuccio. O dietro un divano, stesa al bordo. O sotto a un letto, respirando al ritmo dei nostri stessi fiati.
Si diceva fosse bruttissima, ma nessuno l’aveva vista. Che fosse abruzzese, sarda, siciliana, ma nessuno l’aveva localizzata.
Si dice sia stata stregata da una cappa di sfiga, un fumo nero che l’abbia affatturata.
Si dice sia portatrice di pulci e zecche.
Si dice (anche, si pensi un po’) che sia nata da un carciofo marcio.
Si dicono così tante cose di lei, da fare della sua vita una leggenda.
Ma nessuno che dica cose che si possano dimostrare.
Fatto è che non esiste nessun ritratto di questo “mostro casalingo”.
Veronica si alzò e lo vide. Questo non era previsto. Il ragazzo la guardava, e lei facendolo a sua volta tentava di capire come fosse un cerbiatto in trappola se il giovane cacciatore avesse intenzione di scattarle contro. Nessuno dei due si sentiva spaventato. Lui pensava di sognare. Lei chiedeva aiuto al futuro prossimo, perché le si facesse presente nell’attimo, e con buona fortuna.
-Chi sei?-
-Non mi conosci? Davvero? Sono la Sgnafa.-
-Balle. Sei una ladra qualsiasi.-
-Perché, tu mi immagineresti diversa? A volte sì, sarà che sono solo una ladra, ma a voi non ho tolto nulla, puoi ben verificarlo.Però forse ho sbagliato stavolta a non farlo.-
-Sei sporca, questo sì. come lei…
Che ti è successo?-
– Niente, è che sono così come sapete…Tu ti lavi per coprirti del tuo esser pulito: io mi sporco un poco invece per non dover sporcarmi più.-
-Non è sano.-
– Lo so. Ma neanche io lo sono. Sono la Sgnafa, quella unica e vera. E non dovrei parlare con te, lo sai bene. E lo so io. Tu non ci dovresti essere.-
-TU, NON CI DOVRESTI ESSERE!
Questa è casa mia!-
– Scusa, hai ragione…Ti accontento, e vado via…-
– Non prima di dirmi che ci fai qui.-
– Non sai la mia storia?-
E fu qui che gli venne in mente quella leggenda; ma la prese comunque per una mitomane squinternata. Finché non s’avvide che coerentemente aveva pulito sopra il caminetto. Le volle credere. E la rincorse. In cuor suo, per chiederle chi fosse davvero, perché la solfa che fosse lei, la Ragazzaccia, non stava in piedi. Valeva a dire che le favole son verità. Voleva capire come aiutarla. L’aveva scritto in fronte, ch’era una abile solo a mettersi nei guai. La vide. Corse ancora, verso di lei. Getti di grandine l’avevano sferzata sul volto, e parte del suo sporco le era colato via. Le toccò una spalla e lei non si volse. Aspettò che il vicino di casa del ragazzo rincasasse: si mutò in ombra (fondendosi in quella di lui, ingrossandola…Ecco! Così poteva entrare in tutte le case!) Quindi, non era una persona di questo mondo: era una cosa in forma umana. Ma a lui lei piaceva, molto. Così attese che uscisse e la seguì ancora. Le parlò, ma lei non gli rispose. La seguì nel tempo, sognandosi ogni uscio violato nel suo tragitto. A piedi non poté sempre farlo, perché, sebbene di pochi metri, le sue mete si allungavano. Dovette abbonarsi al treno, e continuare a mappare gli edifici. La costanza lo premiò, nel dargli tempo, a fianco a lei. Ma quando la Sgnafa lo mise alla prova, presentandoglisi solo come ombra, lui non poté non spaventarsi. Lei non seppe se rimanere in quello stato, o recuperare il suo aspetto. Lui tornò, e le stette accanto. Non ricordandosi com’era prima, rubò volti ed espressioni altrui, mentre il ragazzo non l’abbandonava, e anzi lo correggeva, come disegnandoli, i tratti del viso con le dita. Pezzo dopo pezzo, somigliava sempre un poco di più a com’era. Quindi lui le chiese di ripresentarsi come ombra, cancellando i buoni risultati degli ultimi ritocchi. Le chiese di chiudere gli occhi, e di ricordare. Quindi le tracciò una linea perpendicolare con un dito in mezzo al viso annerito. Come tagliando, come sbucciando un frutto. (Vi creò una frangia.) Vi infilò delicatamente le mani, e tirò i lembi. Sotto, vi ritrovò il viso di Veronica, preservato dall’oblio.
(Sarebbe fuggita ancora, e a lui non sarebbe bastato, e gli sarebbe costato, per non perderla, di viaggiare ancora; inutile dire che mai si trattenne dal farlo.)

Ecco che sto per mettere un nuovo racconto
Breve e dedicato a chi deve essere
Quindi ora metto i commenti e quel che viene viene
Sempre che me lo fa caricare è tutto pronto
Presto e bene ,lo metto e vediamo
Cone poesie siamo arrivati credo a 50,un buon numero se iniziai che quelle salvabili erano quattro o cinque.
Da dove sono venute?
1) dall’incontro con una ragazza
2) dal fatto che scrivo da anni
Da dove sono venute?
1) dall’incontro con una ragazza
2) dal fatto che scrivo da anni.
Quindi ecco il gran finale? Sì, dopo 50 stop.
È un numero considerevole. Ne scrissi un centinaio di tema vario ma erano strane e brutte e le cancellai.
Queste rileggendole non sono grandiose ma meglio delle passate. Un po’ meglio le ultime delle prime forse. Come lessico però non sono stato vario. Ma non importava.
Si narra di una sola storia in parte vera in parte prolungata in un futuro ora positivo ora negativo.
Buona serata e buona scrittura!
Molto molto bello complimenti!