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“Un intervento andato male.”

Non era mai stato così criptico e lapidario prima di quel momento, in quell’esatta circostanza, Leonida, l’anatomopatologo di quel piccolo ospedale.

“Eh, sì, sì…deludente.”

Il commissario stava per sbottare non riuscendo a decodificare i mugugni sincopati di quell’uomo che slittava da un lato all’altro del tavolo, reggendosi il mento e grattandosi la testa.

“Sì, perdonami commissario, ma davanti a noi abbiamo il cadavere di una vittima, non solo della furia omicida di un sociopatico, ma siamo difronte ad un vera e propria aberrazione chirurgica…mi pare evidente. Ma perché gli occhi?

Per altro, a differenza degli splendidi lavori eseguiti sulle precedenti vittime, sebbene ci sia stato un miglioramento esemplare nel corso degli omicidi…”

Il medico fissava le spoglie di quella giovane come se scrutasse il Cristo Velato alla Cappella Sansevero, o almeno come appariva agli occhi del commissario, incerta su come condurre la conversazione.

“Senti Leonida, apprezzo molto il rispetto dissacrante che hai nei confronti di questi soggetti da nosocomio criminale…ma di lettere da parte di quelli che si credono emulatori ne arrivano fin troppe.

In commissariato sono arrivati animali decapitati o senza orbite.

Tutta colpa di quegli sciacalli del giornale locale che  hanno voluto spargere la notizia ai quattro venti, senza aspettare le nostre dichiarazione e per non farsi mancar nulla la famiglia dei ragazzini che hanno rinvenuto il corpo, non ha perso tempo a farsi intervistare…ad ogni modo, vogliamo procedere con l’analisi della situazione, ho un panino al prosciutto che mi aspetta.”

“Sissignora, stavo dicendo che l’enucleazione non è stata conclusa, sono infatti rimasti una parte del nervo ottico e dei muscoli extraoculari, a differenza delle volte precedenti.

Insomma commissario, ci troviamo davanti ad un chirurgo del fine settimana, o peggio ancora, di qualcuno che sta facendo pratica, aspettando il momento in cui padroneggerà la tecnica alla perfezione.

In più, è chiaro che la vittima sia stata presa da un attacco epilettico durante l’intervento. Un errore grossolano, inaspettato?

No, non credo, perché dagli esami risultano presenti tracce di benzodiazepine somministrate probabilmente per sedare la crisi. Noti la lingua tranciata di netto per il serramento mandibolare, che è stata successivamente cauterizzata tramite strumenti chirurgici ben precisi?

L’assassino conosceva bene la vittima, anche da un punto di vista clinica, chiaro?”

“Certo. L’analisi è perfettamente chiara, ma non credo che abbia interrotto l’intervento per negligenza, credo sia stato infastidito da qualcosa, oppure a causa della crisi epilettica sia stato sospeso e poi ripreso con poca accortezza… è come se fosse arrivata una folata di vento a demolire un castello di carte. Il rituale si era in qualche modo spezzato. Se di rituale parliamo. Ho letto dei dossier riguardo casi omologhi, ma gli occhi…

Insomma, cosa dovrei pensare? Sono in un cul-de-sac ormai. Niente impronte, niente indizi forensi, collegamenti di qualche tipo. Stiamo seguendo le tracce di sangue delle vittime di un predatore che sembra mimetizzarsi perfettamente con l’ambiente. Non sarà un ottimo chirurgo, ma sicuramente è un abile illusionista. In un paesino sperduto e dimenticato da Dio è riuscito a dileguarsi senza lasciar traccia.”

Leonida sorrise, quasi compiaciuto, come se non stesse ascoltando il commissario.

“Già! E se posso permettermi di indugiare in congetture sul serial killer in questione, mi sbilancerei dicendo, che forse, si tratta di una donna.”

Il commissario trasalì, senza però scomporsi, non capiva quale fosse il capo di quell’asserzione.

Non capiva che razza di deduzione fosse, ma non era totalmente insensato sostenere che potesse essere una donna l’efferato omicida.

Il medico in questione era ormai da tempo a stretto contatto con il commissario Sabini. Si era instaurato un rapporto di reciproco dileggio e questo portò in breve tempo ad un’amicizia particolare, tanto che la figura di Leonida trascendeva la sua professione. Non era un semplice medico, ma il vero braccio destro del commissario di polizia.

Era strano che nei pressi di un’area cittadina tanto piccola, aleggiasse un’ombra così nefasta. Non si erano mai presentati casi del genere e questo creava sconcerto in ogni abitante, nelle istituzioni, negli organi di controllo cittadini.

Il commissario accese una sigaretta,  Leonida non ci faceva neppure caso.

La Sabini non era impaurita, né così tanto sconcertata, quello che provava, era solo insofferenza e senso di impotenza, per quei plurimi omicidi di giovani donne private della loro vita. Doveva assolutamente comprendere la natura di quei misfatti per arrivare a consegnare l’assassino alla giustizia.

Quanto al Dottor Schiavoni era ammaliato da quei corpi deturpati. Non provava ammirazione per quella furia o forse, meglio si direbbe, per quella cura nei dettagli dell’autore, piuttosto era il pensiero che qualcuno si prendesse la briga di avventurarsi in una simile precaria condizione, ad affascinarlo.

Aveva un’età compresa fra i cinquanta e i sessant’anni, portati come un tabagista accanito poteva portarseli. Uomo colto e scompigliato.

Aveva perso ogni tipo di inibizione e sensibilità verso i defunti, vittime o meno. Anziani o giovani che fossero,  non faceva differenza, erano solo corpi nelle mani di un medico alchimista, affascinato dalla stravaganza e perfezione dell’anatomia umana.

“Deformazione professionale, altrimenti mi ammalerei.”

Era quello che si ripeteva tutte le volte in cui veniva chiamato d’urgenza, un po’ per giustificarsi, un po’ per farsi forza.

“Cose che capitano. Siamo animali, non esseri immortali, in fondo. Tutti moriamo.”

 

Fumava la pipa e nell’atto di portarsela alla bocca  mostrava le dita ingiallite, un po’ per il vizio, un po’ macchiate dalla curcuma che prendeva per allentare la progressione dell’artrosi

Mani nodose, non sembravano nemmeno quelle di un medico.

 

Portava gli occhialetti sul naso e alzava lo sguardo quando guardava nel volto i suoi interlocutori.

 

Quasi totalmente canuto, sul metro e sessanta e un po’ ingobbito.

La Sabini si portò l’unghia del pollice alla bocca, chiudendo le spalle e sforzandosi di non alzare il tono della voce, stava perdendo la pazienza, voleva arrivare ad una conclusione.

Si scosse dai propri pensieri sopiti.

“Donna? E cosa te lo fa pensare? Tanto ormai non hai altri cadaveri da rivoltare come calzini, dico bene. Spiega.”

“Penso che…”

“In effetti”

Incalzò il commissario, come se non stesse ascoltando l’intervento del suo interlocutore.

“È stato confermato che la ragazza prima di morire abbia avuto rapporti sessuali consenzienti ed è noto che non siano state trovate tracce spermatiche od altri indizi, come frammenti epiteliali maschili, però la penetrazione è avvenuta e la ragazza pare che fosse conosciuta negli ambienti mondani del posto come una che la…”

“Commissario…”

Il medico aveva tirato su gli occhiali, guardandola negli occhi.

“Va be’ dai, ci siamo capiti. Sono stanca di trovare cadaveri di ragazzine dalla bassa autostima e con famiglie disfunzionali. Tutte loro hanno in comune un’enorme senso di inferiorità, confermato dall’opposta tendenza ad ostentare la loro persona sui social media . Avevano tutte contatti con esponenti della microcriminalità di zona. Frequentavano club in cui succedono tutt’ora cose che la non riusciamo a controllare, nonostante i miei solleciti ai capi…ho interrogato molte teste calde di quei giri, senza cavarne un solo indizio.”

“Be’, io credo che, proprio per l’assenza di prove forensi a carico di un omicida di sesso maschile, potremmo dedurre contro ogni ragionevole dubbio, che dietro a queste violenze, ci sia una donna.

Sconcertante, no? Imprendibile. Avete basato tutta l’indagine, sino a questo momento, sul fatto che queste ragazze fossero etero, soggiogate da uomini. Non è un tantino stereotipato come paradigma?”

Anna guardò altrove, vittima delle sue stesse congetture, frutto di sovrastrutture arbitrarie forse?

Aveva ragione Leonida; perché non una donna?

Le donne sono forse meno carismatiche degli uomini?

Spense la sigaretta nel posacenere vicino la testa della vittima.

Quei due fori giganti nel cranio erano due fosse, nere, spaventose.

Distolse lo sguardo.

Il dottore con fare paterno guardò il commissario. Pensò che forse sarebbe stato meglio tenere quelle riflessioni per sé, ma poi, si disse che giustizia andava fatta e che se non avesse dato il proprio contributo alle indagini, si sarebbe sentito complice di quel mostro senza volto.

“Perché siamo sempre indotti a pensare che una donna non possa spingersi a tanto? Ce ne sono alcune dalla straordinaria prestanza fisica, in grado di sollevare pesi esagerati, per altro, i migliori oftalmologi che conosco sono donne e…”

 

“E questo cosa c’entra adesso?!”

 

“Aspetta, finisco. Se ci pensi, banalmente, esistono madri che uccidono i figli a seguito di una depressione “post-partum”, donne che si macchiano del sangue dei o delle proprie compagne vittime di un’ossessione patologica, donne malate, donne devote che uccidono in nome di una giustizia divina, ricordi il caso di Castiglioni?”

Anna accese un’altra sigaretta ed indispettita iniziò a vagare lungo il perimetro della stanza.

“Ad ogni modo, è affascinante questa situazione. Tutto passa attraverso la nostra vista, ci pensi? E le donne sono, come queste ragazze, ossessionate dal loro corpo, dal loro aspetto.  Probabilmente credono di non essere abbastanza in gamba da poter utilizzare il loro potenziale inespresso, oppure, considerata l’arretratezza culturale in cui sono immerse, tutto potrebbe far pensare che non si ritengano in grado di vivere se non attraverso il consenso di qualcun’altro e il corpo, si sa, per molti uomini è la chiave…ma non tutte le donne sono così. Guarda te e pensa a cosa potrebbe fare una donna come te…potrebbe diventare una perfetta serial killer, peccato che tu non sappia nulla di medicina e chirurgia.”

 

Il commissario si strinse nelle spalle inarcando la bocca in una strana smorfia.

 

“…Magari invece di usare il proprio corpo come oggetto sessuale, lo usi per uccidere ragazzine che andrebbero a letto con chiunque pur di essere apprezzate e conosciute dal resto del mondo, per affermare loro stesse insomma. E se fosse un giro di prostituzione indotta da qualche piccolo clan mafioso locale? Saranno anche loro diventati progressisti, no? O forse viene loro promesso qualcosa, non lo farebbero solo per svago o per il sesso.”

 

“Ascolta Montalbano, voliamo basso con la fantasia…”

 

Leonida abbassò lo sguardo a terra, togliendosi gli occhiali e iniziando a pulirsi le lenti, con meticolosa e certosina lentezza, come a scandire quello che stava per dire.

 

“Sai, ho una figlia di quindici anni, che nonostante cerchi di tenere sotto controllo, nonostante cerchi di instillare in lei, con fatica, senso critico, giudizio, mostrandole che oltre ai social network esiste il mondo reale, e che, quindi, quello che lei scorge sul telefono è solo una proiezione posticcia di coloro che vogliono vendere il fatto che avere un corpo perfetto è fondamentale, nonostante tutto questo, si omologa diventando il doppione delle sue amiche. Ma io sono vecchio, non capisco, appartengo ad un’altra generazione.

 

Pubblica continuamente foto di se stessa, magari dopo essersi provata un intero guardaroba di un negozio di abbigliamento e subito “click”  scatta la foto guardandosi allo specchio, morbosamente, scrutando i centimetri della sua pelle giovane, sistemandosi gli abiti, avida di osservare da ogni angolazione quel corpo che odia e ama allo stesso tempo. Eppure, è solo una bambina che io ho deciso di mettere al mondo troppo tardi.

Poi nemmeno li compra e io e sua madre come due cretini rimaniamo davanti alle boutique del centro. Si preoccupa di piacere ai ragazzini della sua scuola o del suo giro e quindi è continuamente a condividere le cose che fa, il cibo che non mangia, i vestiti che non compra, i sorrisi che non ha. Non so, non ricordo di quando ero giovane io, sono passati troppi anni e la vita mi ha mostrato la sua natura vile e priva di scrupoli. Sono solo un babbo preoccupato e vedere queste ragazzine abusate, be’, non mi lascia del tutto indifferente.

 

Pensaci , comunque, adesso ho un altro paziente surgelato che mi aspetta e non vede l’ora che gli incida una bella “Y” sul corpo.”

 

“Sì, ci penserò. Però, non ti ricordavo così logorroico Leonida, penso andrò a casa adesso, mi hai fatto venire il mal di testa. A presto.”

 

Il commissario tornò in superficie prendendo la porta d’uscita. Era quasi dispiaciuta per la figlia di Leonida, poi pensò che poteva essere una delle tante vittime di questa belva. Cosa ci sarà mai di tanto malato dietro a quelle operazioni chirurgiche, come poteva una mano d’uomo permettersi tali brutalità?

Una donna. Non voleva accettare che il serial killer fosse una donna come lei.

Guardò davanti a sé e vide un gruppo di giovani donne alla fermata dell’autobus.

“Forse si nasconde tra di loro?”

Pensò.

Guardò le vetrine dei negozi sulla strada e all’interno c’erano tutte commesse donna.

Sarà una di loro?

Pensava a se stessa, al fatto che aveva lottato tutta la vita in un ambiente maschilista, dove il nonnismo e il clientelismo imperavano. Con disgusto pensava alla cieca riverenza che tutti avevano verso il dio fallo e pensava, inoltre, che soltanto l’immagine di una donna, magari della sua età, con i suoi medesimi trascorsi, chissà, potesse fare questo a delle ragazzine tutto sommato innocenti, la disturbava. Placò un attimo la furia, quando le balenò l’idea che se fosse davvero l’opera di una donna, si aprivano a ventaglio molteplici spiegazioni. Un moto di ribellione verso una società ancora fortemente paternalistica? Tutto era nel calderone delle ipotesi.

 

Si mordeva le unghie, ormai ne erano rimaste ben poche e il forte vento le faceva oscillare i capelli davanti agli occhi. Era tanto concentrata che non si accorse di star attraversando la strada con passo lesto.

 

Un’inchiodata.

 

Il commissario cadde a terra. Il conducente scese di corsa dal veicolo, un minivan grigio fumo. Si chinò sulla donna chiedendole se si fosse ferita, se stesse bene, ma lei era confusa, le fischiavano le orecchie. Dopo qualche frazione di secondo, si portò le ginocchia al petto stringendole forti. Erano anni che non le venivano, quelle che fin da piccola chiamavano, momenti di black-out. Strizzò gli occhi, contò fino a dieci.

 

Gli astanti cominciavano ad accalcarsi per capire cosa stesse succedendo, ma improvvisamente la Sabini riprese contatto con la realtà e si alzò, aiutata dal conducente dal minivan.

 

“Sta bene? Vuole che la accompagni in ospedale, guardi, nessun problema, sono talmente mortificata… è sbucata all’improvviso, io, io, per poco…comunque, se vuole posso portarla a casa o se vuole, davvero, l’accompagno in ospedale.”

 

Dalla voce sembrava una persona in preda al panico, ma quando la poliziotta alzò lo sguardo, vide un’espressione tutt’altro che di turbamento.

 

“No, no, non è niente, anzi, mi scusi lei. Sono una cretina, ero sovrappensiero, poi quando prendo paura, no, no. Guardi, al massimo, che ce l’ha un goccio d’acqua? Poi se mi riaccompagnasse alla macchina, ne sarei contenta”

 

“Certo! Spostiamoci da qui.”

 

Le donne entrarono nel veicolo.

 

“Ecco, dell’acqua, ha bisogno d’altro? Ho degli snack o possiamo fermarci in un bar…”

 

“No, no, basta l’acqua, sto seguendo una rigida dieta di sola carne e acqua, la chiamano…mmh. Boh, non saprei, fatto sta che mi sta dando più problemi che altro. Quanto meno so che morirò di gotta o cancro.”

 

Il commissario fece finalmente caso al volto della donna che stava per investirla.

 

“Com’è strana…” penso tra sé.

 

Aveva un viso segnato dagli strascichi di un acne giovanile, il naso camuso sembrava aver preso ripetuti pugni, era una montagna frastagliata, gli occhi sottili, neri come pece e le labbra carnose, un po’ sbucciate. Ampia fronte e capelli raccolti in una coda bassa, rasati da un lato.

 

Portava, nonostante fossimo in pieno autunno, una t-shirt estiva, nera, con un gilet damascato su viola, i polsi ricchi di bracciali di pelle, i jeans strappati, gli anfibi, spalle larghe, cosce tornite. Era muscolata, dalla fierezza nevrile, ma paradossalmente pacata. Una virago.

Eppure, tutto quel complesso affastellato di oggetti e caratteristiche fisiche, le dava la capacità di trasmettere quiete, tranquillità, quasi piacevolezza.

 

Non traspariva preoccupazione dal modo in cui guidava, non era in tensione per l’accaduto. Aveva il viso disteso, nessuna contrazione muscolare faceva emergere paura, stress, rabbia.

 

“Davvero strana”.

 

Pensò nuovamente, ma non aveva ancora la mente pronta a preoccuparsene, gli occhi, piuttosto, furono catturati da alcuni ciondoli attaccati allo specchietto retrovisore.

 

Erano minuscole perline legate insieme ad un filo di cuoio. Ogni perlina ciondolava seguendo i sobbalzi del mezzo.

“Carine” pensò il commissario, ancora frastornata mentre sorseggiava l’acqua pensando a cosa dire alla sconosciuta.

 

Erano piccoli occhietti dipinti, sembrava qualcosa di artigianale.

La Sabini non capiva perché fosse tanto attratta da un così insignificante ammennicolo ed infatti le indagini, in modo totalmente inconscio, presero nuovamente possesso di tutti gli spazi disponibili delle sua testa. Era concentrata su quelle ragazze, sul serial killer, su quello che lei e Leonida si erano detti.

 

Allungò il braccio arrivando a toccare quelle perline.

 

“Provengono da una tribù del centro Africa. Sono stata una volontaria per molti anni e ormai lì sono di casa, tanto che mi è stato fatto questo dono molto significativo per le donne del posto.”

 

“Ah sì, carini, un po’ troppo tribali per i miei gusti.”

“Sì, immagino. È un mondo caratteristico.

Io sono una fotografa documentarista, e, be’, è un po’ suggestiva la storia dietro questi piccoli manufatti.”

Il commissario rimase ipnotizzata dalla chiostra dentaria di quella donna. Denti dalla forma irregolare, consumati dal tempo. Paradossalmente nel loro insieme erano armoniosi, con la bocca ad incorniciarli e l’eloquio, ma soprattutto il timbro di quella donna, erano qualcosa di monotono, soporifero.

“Deve sapere che in alcune zone dell’Africa, in molte, a dire il vero, vengono ancora praticati dei rituali magico religiosi, per curare, esorcizzare…fare accadere qualcosa insomma, per accattivarsi il benestare delle divinità. Magari per migliorare, vendicare, sublimare. Le donne, spesso, sono, più che partecipanti, vittime sacrificali, prescelte da sciamani bastardi.”

 

La donna iniziò a stringere con forza il volante tanto da tenere tese entrambe le braccia.

 

“Dunque, questi sono piccoli occhi, vede, sono dipinti a mano.

 

Rappresentano la divinità che, con occhio vigile, appunto, protegge quelle sventurate e loro lo hanno fatto per me, perché fossi protetta.

 

Ci sono dei moti di ribellione e di progressismo anche negli angoli più remoti della terra, contro ogni previsione di noi occidentali, manipolati dal consumismo e dall’idea di essere i migliori…ma questi, sono altri discorsi, non voglio annoiarla.”

 

Il commissario era ancora confusa, smarrita, quell’inspiegabile black-out del suo cervello le aveva fatto resettare tutto, forse era stress, ma quella figura così virile e allo stesso tempo delicata l’aveva completamente catturata, rendendola misteriosamente più vulnerabile.

Il commissario non era catturato dalle parole, ma dalla loro forma geometrica che esplodeva dalla bocca di quella donna.

“Oh, no, è molto interessante. Ecco, guardi, la mia macchina è parcheggiata proprio là.”

La donna fermò l’auto.

“Guardi, se avesse bisogno, per qualsiasi cosa, mi contatti. Le do…aspetti, il mio biglietto da visita…mmh…dov’è, eccolo. Tenga.”

 

-Iride Ghibellini, fotografa-

 

“Grazie, comunque io sono Anna.”

 

“Piacere, Iride. Mi scusi ancora per lo spavento. A presto, spero… ”

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Qual è la verità aldilà del velo di Maya?

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