«Dicono» aveva raccontato il nonno «dicono che, in una notte d’autunno, Jack, un fabbro astuto e ubriacone, incontrò il diavolo in un bar – o in un pub, come lo chiamano da quelle parti. Il diavolo gli disse che era venuto a portarlo via e Jack rispose che, prima, doveva pagare il conto, ma che non aveva soldi e che quindi non poteva andarsene. Il diavolo, allora, si trasformò in una moneta. Jack afferrò la moneta e la infilò nel borsellino. Sopra il borsellino era ricamata una croce e così il diavolo, che non se ne era accorto, rimase prigioniero. Jack allora disse che lo avrebbe lasciato andare solo se lo avesse lasciato in pace per dieci anni e il diavolo dovette cedere».
A questo punto il nonno aveva sorriso e la sua faccia era rossa e grinzosa come le foglie che cadevano dal castagno piantato dietro all’orto, in mezzo al campo di erba medica.
«Dieci anni dopo» aveva proseguito «il diavolo tornò da Jack e gli disse che, stavolta, lo avrebbe portato con sé. Jack rispose che andava bene, ma che, prima, il diavolo avrebbe dovuto salire su un albero lì accanto… chissà forse l’albero era un vecchio castagno, proprio come quello che abbiamo piantato io e tua nonna tanti anni fa. Sia come sia, il diavolo si arrampicò in un lampo sulla cima del castagno, ma Jack fu anche lui veloce: tirò fuori il coltello e incise una croce sul tronco, così il diavolo fu imprigionato un’altra volta».
Il nonno stava pulendo una zucca e, a questo punto, aveva smesso e aveva fissato il coltello che lanciava barbagli rossastri nella luce smorta della cucina.
«Jack disse al diavolo che lo avrebbe lasciato andare solo se avesse promesso di non tornare mai più. Il diavolo si arrabbiò, ruggì e strepitò, ma alla fine dovette cedere».
Il nonno aveva sorriso di nuovo e aveva ripreso a pulire la zucca, separando i semi dalla polpa arancione, ammucchiata in un grumo umido e luccicante in un angolo del tavolo.
«Tanti, tanti anni dopo, Jack morì, ma quando, per via dei tanti peccati commessi, dovette andare all’Inferno, il diavolo gli rise in faccia e lo cacciò fuori, nel buio, nel freddo e nella solitudine. Jack si lamentò e urlò e pianse, ma il diavolo lo mandò via tirandogli dietro un tizzone ardente. Jack lo raccolse, lo infilò in una rapa che aveva con sé e si allontanò. Da allora Jack vaga tra la terra dei vivi e quella dei morti e, in questa notte dell’anno, quando gli è concesso avvicinarsi al nostro mondo, si usa prendere un rapa – o una zucca, proprio come questa – svuotarla, metterci dentro una candela e sistemarla sulla soglia di casa, così che Jack capisca che questo non è posto per lui e continui il suo viaggio».
Il nonno aveva intagliato nella buccia della zucca un paio di occhi, un naso triangolare e una bocca piena di denti appuntiti, poi l’aveva sollevata e l’aveva fatta vedere per bene a Walter e Walter aveva riso, ma aveva avuto anche un po’ paura perché si era immaginato come potesse essere quella zucca appesa vicino alla porta, con dentro una luce sanguigna che brillava nel buio, i nuvoloni neri che, ribollendo, riempivano il cielo e le foglie morte che strisciavano sul vialetto come artigli che graffiassero il cemento.
Il nonno aveva riso più forte, poi aveva preso i semi della zucca e li aveva abbrustoliti e tutti e due li avevano mangiati guardando fuori dalla finestra la nebbia che saliva dall’erba bagnata, come se la terra respirasse pian piano nell’aria che si raffreddava.
Era passato un anno e il nonno era morto.
Walter avrebbe tanto voluto andare a trovarlo, ma la mamma si era opposta perché, gli aveva detto, avrebbe avuto un trauma. Walter era andato a vedere il significato della parola “trauma” e aveva pensato che non gli sarebbe successo un bel niente. Anche papà, che era il figlio del nonno, aveva detto che non sarebbe successo nulla, ma mamma aveva insistito ed aveva ricordato che, qualche mese prima, dopo quella faccenda della zucca che il vecchio (per mamma il nonno era “il vecchio”) aveva intagliato e appeso fuori della porta, Walter aveva avuto gli incubi per una settimana e, a quel punto, papà e mamma avevano litigato.
Litigavano spesso, e per qualunque cosa, specie da quando papà aveva perso l’impiego e la mamma riusciva solo a trovare qualche lavoretto in nero qua e là – e non era una bella cosa perché tutte le cose brutte erano nere.
Walter capiva che i suoi litigavano non perché non si volessero più bene, ma perché erano spaventati dalla Gente della Banca.
La Gente della Banca vestiva di nero, o meglio, di grigio, ma di un grigio che era più cupo del nero e voleva che mamma e papà pagassero il mutuo.
Un paio di volte la Gente della Banca era venuta a casa, ma, l’ultima, papà aveva detto che sarebbe andato a prendere il fucile del nonno e la Gente della Banca non si era fatta più vedere.
Scrivevano, però, e Walter capiva quando erano lettere della Gente della Banca perché, sopra, c’era un’enorme zucca arancione e quella sì che faceva davvero paura, anche se non aveva né occhi, né naso, né zanne intagliate.
Alla fine, erano andati tutti ad abitare nella casa del nonno, che era diventata di papà e, per un po’, la Gente della Banca li aveva lasciati in pace, forse perché non riusciva a trovarli, dato che la casa del nonno era fuori città.
Si trovavano bene e papà, che era sempre senza lavoro, aveva provato a coltivare l’orto. Un pomeriggio, lui e Walter avevano piantato dei semi di zucca e Walter aveva pensato che, quell’anno, avrebbero avuto delle zucche belle grosse e magari ne avrebbero presa una, l’avrebbero intagliata scavando occhi e denti e l’avrebbero messa fuori dalla porta, proprio come aveva fatto il nonno.
Un giorno d’estate, durante un temporale, il castagno che stava dietro l’orto, in mezzo al campo di erba medica, era caduto perché era vecchio e malato e Walter aveva pianto perché gli era sembrato che il nonno fosse morto un’altra volta.
Il mattino dopo era arrivata un’altra lettera dalla Gente della Banca, con sopra una zucca arancione.
Mamma e papà avevano ricominciato a litigare e mamma diceva che papà beveva troppo e stavolta aveva ragione lei.
All’inizio dell’autunno, mamma aveva detto che aveva trovato lavoro all’estero, che sarebbe andata via per un po’ e che, quando si fosse sistemata, avrebbe fatto venire papà e Walter da lei.
Papà non era sembrato contento, ma non pareva più contento o triste per niente, negli ultimi tempi. Ogni tanto Walter lo guardava che puliva e ripuliva il fucile per intere mezz’ore. Allora lo chiamava e papà si scuoteva, come se si svegliasse da un sogno, e non sembrava essersi accorto che era passato tutto quel tempo.
Mamma era partita una mattina e quello era stato il primo vero giorno d’autunno, col vento che spingeva le nuvole come se volesse ammucchiarle contro l’orizzonte e le foglie degli alberi che frusciavano tra loro come gridando di paura.
Papà aveva guardato mamma salire in auto e, quando era partita, aveva alzato il braccio e l’aveva tenuto così un bel po’ anche dopo che la macchina era scomparsa, poi l’aveva abbassato ed erano entrati in casa chiudendosi la porta alle spalle e papà si era seduto in cucina, proprio nello stesso posto in cui si sedeva il nonno, e aveva iniziato a pulire il fucile.
Era passata una settimana, poi due, poi tre, e la terra aveva ripreso a fumare, soffiando fuori la nebbia, e le foglie a raschiare il vialetto nelle notti che si facevano sempre più lunghe e più fredde.
Nel campo di erba medica si sentiva la mancanza del castagno ed era come se le nuvole, in cielo, avessero perso un sostegno cui appoggiarsi.
Nell’orto non spuntava granché, perché papà non era bravo come il nonno, ma la zucca era cresciuta grande e rigogliosa, coi viticci che affondavano nel terreno e strisciavano in giro come se volessero afferrare tutto quello che potevano e quando papà la guardava riusciva persino a sorridere e diceva che avrebbero fatto una bella scorpacciata.
Un mattino, papà aveva chiesto a Walter se voleva che intagliasse la zucca, scavando occhi, naso e bocca, e la mettesse sulla porta e aveva detto che, anche se non era bravo come il nonno, ci poteva provare, ma Walter aveva risposto di no e che non aveva paura che Jack lo venisse a trovare.
La Gente della Banca era arrivata due giorni dopo, in un pomeriggio scuro come se, a un certo punto del cammino, il sole fosse inciampato e caduto anzitempo oltre l’orizzonte.
Erano vestiti di grigio, quel grigio strano che faceva più paura del nero e, quando avevano bussato alla porta, Walter aveva detto loro che papà si trovava nell’orto.
Loro avevano annuito, con un movimento della testa che ricordava quello delle cornacchie quando becchettavano, e si erano diretti sul retro, con Walter che li seguiva silenzioso come la rugiada che si posava sull’erba prima di diventare nebbia.
Si era nascosto e aveva sentito la Gente della Banca parlare con papà e poi urlare e gridare, anche se non capiva che cosa dicevano, prima perché non voleva ascoltare, poi perché erano solo strida e grugniti e versi.
A un certo punto era arrivato il colpo di fucile e Walter se lo aspettava, proprio come si aspetta il tuono dopo il lampo, come era successo quando il temporale aveva schiantato il vecchio castagno.
Era corso dentro e aveva visto uno della Gente della Banca a terra e papà che lottava con l’altro.
L’Uomo della Banca, che era più grosso e più forte, aveva levato il fucile dalle mani di papà e l’aveva alzato sopra la testa.
Per un istante, Walter aveva visto la faccia di papà, poi l’altro aveva abbassato il fucile e la testa di papà si era spaccata come un grosso frutto succoso che viene scagliato per terra.
Papà era crollato a terra e l’Uomo della Banca lo aveva colpito più e più volte, emettendo una specie di “uuh, uuh, uuh” come un grande, strano uccello notturno.
Alla fine si era voltato, aveva guardato Walter e aveva spalancato gli occhi e la bocca come per urlare, ma non aveva fatto in tempo perché i viticci della zucca erano saltati su dal terreno e lo avevano avvolto a decine, a dozzine, imprigionandolo come se volessero rinchiuderlo in un gigantesco, bizzarro gomitolo.
Walter aveva visto l’Uomo della Banca provare ad urlare senza riuscirci mentre i rami della zucca gli si infilavano in gola, poi aveva sentito il rumore delle ossa che si spezzano e alla fine aveva intravisto un liquido scuro filtrare tra i viticci.
La zucca aveva trascinato il corpo dell’uomo al suolo, poi sottoterra, poi c’era stato uno sbuffo di fumo, come se il terreno ansimasse dalla fatica, e una nuvola di nebbia che subito si era dissolta, poi basta.
Walter si era seduto per terra ed aveva aspettato perché sapeva chi stava per arrivare e quando la figura fatta di nebbia e rumore di foglie morte e notti d’autunno era comparsa, lui l’aveva guardata negli occhi fiammeggianti e nella bocca piena di denti acuminati, ma non aveva avuto paura, perché anche il diavolo aveva avuto un po’ di pietà quando, per scaldarlo, gli aveva scagliato addosso il tizzone e perché vagare nel freddo e nel buio poteva essere un po’ meno brutto se si era in due.
Grazie, approfitto per dire che ogni tanto provo a mettere un commento ai racconti degli altri (nell’ultimo caso era “Grigio”) ma il sistema non lo prende. Boh.
Racconto intrigante all’inizio e sorprendente nel finale. A metà tra horror e fantastico.
Come al tuo solito, racconto piacevole e ben scritto, davvero bravo.
Prova Prova Prova Prova Prova Prova Prova Prova Prova
Ogni tanto scrivere un commento qualsiasi da’punti per scrivere!
E a scriverne 2si ,fa ancora più bene
Sì, ma non li prende se non in risposta!