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Esco in giardino con Celeste nella nostra Milano. La mia amica ha capelli lunghi e luminosi, ma non la invidio. Perché è mia amica. E io pure sono bella, a modo mio. Guardo in aria il cielo, e davanti a me, perché sono in bici e non voglio franare a terra. L’altr’anno mi sono sbucciata le ginocchia di brutto, e non è stato un bel vedere in palestra. Passi per le mie compagne, ma a salutarmi c’era Tommaso, il fratello di Federica, ed era l’anno che ero in paranoia per questo tipo. Non è stato un bel vedere tutto quel sangue raggrumato e quella pelle ridotta a colabrodo, ma ho fatto colpo comunque. Fa il cameriere al ristorante Topazio, ogni tanto lo vedo, ma faccio finta di niente, si vergognerebbe
di vedermi e io di vederlo servire. Sarebbe come se lo spiassi, e mi sentirei spiata da uno sconosciuto pure io. Non lo vedo più con gli occhi di prima. Ho pensato pure di
sedermi e di ordinare qualcosa di imbarazzante, tipo trippa con cotiche e cipolle, e di esalargli addosso un saluto pestilenziale. E ho riso di quest’immagine, e l’ho confessata a Celeste. Come le dico ogni cosa, e di ogni cosa so che ne fa tesoro segreto. E’ la mia migliore amica. Spesso lo
denigriamo e ci ridiamo, di Tommaso. Ma basta parlare di lui. Ogni tanto un pensiero alla foto di noi che ho voluto tenere. Un salto con la mente, senza sbirciare. La tengo ben chiusa, e sepolta sotto altre più felici, come quella in cui ho mangiato veramente cibo pesante e ho alitato in faccia a Celeste tutta la cipolla e l’aglio che avevo tra i denti. Non ho nulla contro di lui. E’ che è storia di
un anno fa, e un anno è un anno. Ora è quest’anno, e sono ancora ai giardini di Via Enrico Novelli, vicino a casa mia, è da poco primavera e sono innamorata del sole. Ho già studiato abbastanza e
vado a pedalare leggera e senza pensieri. Quelli li lascio al vento e li lascio andare così, dove vanno
vanno, senza preoccuparmi nemmeno di che pensieri sono. Se sono seri, torneranno, prima o poi. Busseranno alla mia porta, e non gli aprirò. Inseparabile mia Celeste. E’ lei che mi sostiene in tutto e se non la vedo ogni giorno non è un buon giorno. La trovo puntuale e freno lentamente, così la ruota davanti finisce il moto, e quella dietro la imita, due ruote accomunate da un unico destino. Saranno, coi loro raggi arrugginiti, due ruote amiche quando noi amiche non lo saremo più. Perché
prima o poi non lo saremo più, ci stancheremo di noi. Ne sono convinta, anche se questo è uno dei
pensieri che dicevo. Quelli seri, che lascio volare al vento senz’altro, e quando faccio così, questo
vento è tutt’intorno a me e mi protegge. Di solito, oggi non è così; d’improvviso ho impressione di esser chiamata da qualcuno. Ma da chi? Mi giro intorno e vedo solo molti bimbi giocare con genitori pazienti e carichi d’affetto a badare a loro. Le giostre sono complete e piene d’euforia. Ad ogni giro, sembrano doversi scardinare di colpo, ma rimangono salde al loro perno, tenute da unaf orza che dà sicurezza. Vorrei poggiare anch’io su fondamenta d’acciaio così, ma frano in un vuoto che non ho mai sperimentato. Non è un giorno come un altro. Bambina fra bambini, ma ormai grande, sono l’unica ad esser sola, la mia amica non la vedo più, e per di più non sto bene. Ho un moto improvviso alle pupille che me le dilata, e non mi è mai successo, e ho paura. Mentre vedo i radi alberi del parco infittirsi attorno a me fino a farsi una foresta rigogliosa ed irta di cespugli, d’un verde violento e asfissiante. Ci sono funghi grossi come cocomeri, e tronchi possenti sbreccati da picchi vivaci e abitati da timidi scoiattoli rossicci, cespugli di bacche grosse e piene di succo. Fa da sfondo un ruscello che non può esistere qui. Non faccio uso di droghe: mai, lo giuro. Ma è chiaro che non sono più nella mia città piena di nubi. E lo vedo. Un’ombra, ma tangibile e concreta, d’un uomo basso ed arcigno, vestito d’un buffo irreale assurdo colore azzurro. Guarda fisso avanti a sé,ma mi chiama in modo che non so spiegare. Mi giro per non guardarlo (fa un po’rabbrividire) e rivedo Celeste, che parla con due amici eterni nullafacenti di Tommaso, e sembra incredibilmente lontana. Ma almeno c’è, e il suo esserci mi rassicura. Impazzirei, altrimenti. Quest’uomo, dall’aria così assente, così vicino a me, così indifferente ma innegabilmente presente, poggiato fiero sopra un grasso pony color caffè, vestito come un personaggio da fiaba, mi turba, e rabbrividisco. E le pupille mi dolgono, come fossero intirizzite da un gelo che non c’è, in quest’estate rovente e surreale. Credo che da un momento all’altro mi sveglierò, ed ecco che quello si gira superbamente,e mi parla, con una voce che viene dal nulla. Un timbro cavernoso, aristocratico, pieno di sé.

-Il sole splende in alto, e mi fa un dono lieto: vedo nei suoi occhi un gioiello inestimabile.Mi chiamo Rodolfo Hohenstaffer, e sono Principe del Paese dei Barbagianni- dice.

E ci devo proprio essere in questo paese, perché effettivamente un gruppo di questi rapaci fa capolino dal verde, e annuisce fedelmente dondolando. Mi interrompe il suo servitore,un bifolco:

– Io mi chiamo Janni Coglione, e son trattato bene quando mi fingo servitore di questo tizio; lui crede che mi chiamo Rolando Jocondo, e che sono di una buona casata! (Mentre chissà porcazzozza chi erano mio padre e mia madre!)Uso una magia che mi improfuma e mi abbellisce (ecco perché ora lui non mi riconosce!) Per questa magia ho dovuto regalare una mia figlia alla strega Beppa, che la istruirà come befana meretrice, povera Gigliola mia! Beh,non più mia ormai… La madre non sa niente,ora starà nuda sotto qualche tizio più ricco di me, che le darà una paga con cui per stavolta ci sfameremo! Io vengo assunto,sfruttato e malpagato con verdure avvizzite,galline malaticce e cinghiali deperiti! Pulisco latrine, financo entrandoci dentro la merda oleosa che mi si spalma mentre cerco di nettare l’antro di chi sarebbe meglio mi desse due spiccioli! E alla sera mi trovo la moglie abbruttita dal mestiere infame di venditrice di se stessa, e se penso alla figlia perduta mi si muove il ventre(quando non fa lo stesso il cattivo cibo!) –

Questo Janni mi avrebbe commossa,se avessi capito bene che mi aveva detto. Fece un rumore col didietro.

-Oh,devo essermi cacato sotto,pulzella! Piscerò sulle mie mutande per non fare vedere a mia moglie Vannina che le ho ridotte a un cumulo di marrone con un fil di stoffa logora!-

Aveva scorreggiato sonoramente e nel farlo aveva terremotato il suo colon, che non aveva retto. Era retto,ma non aveva retto,si era quasi rotto… Il sobbalzo aveva fatto fuoriuscire una cacca piena, puzzolente e nauseabonda, che mi avrebbe invaso le narici se il profumo dell’altro uomo che si avvicinò non fosse stato fortunatamente più forte e gradito.

Parlò quest’altro:

– Da venti anni calco questa gleba e vedo per la prima volta tanta beltà. Che vi reca quivi fra i barbagianni?-

I rapaci dondolano, annuendo, e sembrano ripetermi la domanda.Janni viene portato via delicatamente da qualcuno,dopo la persuasione di due mazzate ben assestate su fianchi e groppone. Zoppicò leggermente,congedandosi.Io non mi sento forza di parlare, e non perdo tempo a difendere i diritti ormai lesi dello sporco villico.Bensì senza rendermene quasi conto replico:

– Ero in un giardino, signor Rodolfo, e mi trovo in un bosco. Che succede?-

– Fatalità, madamigella, e un pizzico di magia. Effetto dell’estate, credo.-

– E ora che faccio?-

– State chiedendo aiuto a uno sconosciuto. Ma non avete da temere:da uomo del mio rango non traggo in tranello una fanciulla, benché tanto leggiadra.-

-Faccio molta palestra.-
– La farò anch’io, se mi insegnerete cos’è.-
– E’ una stanza grande con gli attrezzi e le panche, e tu ci siedi e sudi,
e sei leggiadra.-
-Come la Sala del Consiglio del mio castello. Ma lì si suda poco, e si curano gli affari di corte e si muore di noia.-
-Si muore pure in palestra. Ma tu ci siedi e sudi, per farti bella.-
-Come la Sala del Consiglio. Ma tu ci siedi, e sei bello perché lo sei già o ti tieni la tua laidezza.-
-Sei bello pure in palestra, se lo sei. E tu ci siedi e sudi, per rimanerlo. Se no, niente leggiadria.-
La conversazione stava prendendo una strana piega. E io parlavo perché ero
nervosa, e perché solo dandogli retta non ne ero intimorita. Di cosa stavamo
parlando?
-Vi farò visitare il mio castello, e vi farò mia sposa.- dice l’uomo azzurro, e non dice più niente e non mi chiede assenso, ma mi porta via afferrandomi la mano. Galoppando, il pony mi costringe a continue ginocchiate dolorose, ma seguo il fato senza opporre resistenza. Mi si riapre pure una vecchia sbucciatura che si era ricicatrizzata, ma pazienza: seguo l’amore. Il castello è
possente e regale. Ora lo si vede poco lontano. Il ponte elevatoio è un’autostrada che si spalanca
davanti a me e mi invita all’ignoto. Il Principe Azzurro mi spinge avanti ancora come una mula, sono sua schiava: preda d’amore, seguo il destino e devo tacere. Ma non sento più le gambe dal dolore, e non ho nemmeno più fiato per fiatare. A spezzare il silenzio ci pensa Rodolfo.
-Eccoci, madamigella Ermengarda Krapfen di Sommariva, qui è la mia dimora e il mio futuro trono.-
Trovo con fatica forza di rispondergli.
-Mi chiamo Agnese Rivasomma, sono di Milano, mi fanno male le ginocchia, voglio tornare a casa. E i krapfen li mangio a colazione.-
-Intinti nel latte?-
-Sicuro.-
-Pure io. Ho dovuto sedurre la marchesa di Sommariva, la ricetta era di famiglia. Ora i miei cuochi la replicano con esattezza certosina.-
-Capisco il lapsus, e l’etimologia della ciambella. Spero fosse leggiadra pure la marchesa.-
-Orrenda, ma lasciamo stare.-
-Voglio tornare a casa.-

-Giammai!Questa sarà la tua casa, sarai mia sposa, avremo dieci figli e ognuno avrà per sé tre camere da
letto.-
-Non ti conosco, sono troppo giovane, non ti sposo. Per dieci figli, disturba le tue fantesche.-
-Già fatto più volte. E’ tempo di accasarmi.-
-Preferisco rimanere libera.-

Le donne avevano lottato secoli per la nostra emancipazione, e dovevo buttar tutto questo impegno dolorosamente elargito nel cesso? Per un bellimbusto?
-E rinunciare alla palestra che ho fatto ordinare per te dalla servitù? Occuperà
un’intera ala del palazzo.-
-Sei sleale.-
-Il soffitto avrà lampade di cristallo. E tu sei leggiadra.-
-Sei un maramaldo.-
-Il linoleum sarà laminato d’argento. E tu sei sublime.-
-E tu sei infido.-
-Gli attrezzi saranno d’oro. E tu sei speciale.-
Al quale complimento che mi par spontaneo mi sciolgo languida e bacio appassionata Rodolfo Hohenstaffer nel suo Paese dei Barbagianni. Attorno a noi si baciano scogliattoli, volpi, lepri, imitandoci. E la marchesa
di Sommariva flirta col cuoco Oreste, che le ha rubato su commissione la ricetta dei krapfen, e lei fa
finta di non saperlo. Non rivedrò più il mio giardino, né la mia casa, ma abiterò in un castello tutto mio. E avrò una palestra da favola tutta per me. Spero di trovare Gigliola e di salvarla dal divenir puttana come la povera Vanno a, sempre che la strega Beppa non mi trasformi in un fungo puzzone,in un muschio marcio, o in un lichene decomposto…

Tutta la foresta nel paese del Principe Azzurro si bacia, e io qui mangio dolci, e sono felice. Ma i barbagianni, che sono tanti, non partecipano al nostro amore(che spero non sia frutto di un’incantesimo). Ho chiesto che Celeste  sia una mia damigella, e solo perché mi è stato da lui concesso e da lei confermato che son restata,altrimenti senza miglior amica, niente da fare.

I barbagianni non si baciano,quindi. Questi uccelli si limitano a dondolare allegri intorno a noi, continuamente.

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FilippoArmaioli

Scrivo su Alidicarta e Owntale.

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