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Lo strumento era finalmente ultimato!

Dopo lunghi anni di lavoro Arturo Gennari, professore di fisica teorica all’Università di Harward, rimirava soddisfatto il frutto del suo ingegno e dei suoi sforzi.

La macchinetta era un cubo di quasi un metro di lato, in metallo verniciato verde militare e decorato con decine di spie che si accendevano in un’ordalia di colori che pareva casuale. Una selva di piccole antenne dalle forme più disparate e stravaganti usciva dalla parte superiore della strampalata struttura mentre un paio di manopole a relè circondava un indicatore ad ago.

“Finalmente il Dimensionometro è terminato!”. Disse tra sé.

Lo strano nome dell’oggetto derivava dal fatto che il dottor Gennari lo aveva costruito con la convinzione che fosse in grado di scovare nuove realtà parallele alla nostra.

Egli riteneva, infatti, che tutte le dimensioni condividessero lo stesso spazio e lo stesso tempo ma che, vibrando a frequenze inerziali diverse, potessero coesistere contemporaneamente.

“Il paradigma di Dio!” L’aveva chiamato.

La sua intenzione era di creare un microscopico portale dimensionale di frequenze. Troppo debole per riuscire ad aprire un vero e proprio varco ma sufficiente per valutare l’esistenza effettiva di quanto aveva postulato. Era necessario, se voleva continuare i suoi studi, convincere della validità delle sue teorie il comitato dell’Università, solo così avrebbe avuto accesso ai fondi necessari per terminare il suo lavoro. Dopotutto lui era un uomo vicino ai sessant’anni che non aveva pubblicato nulla di veramente importante in ambito scientifico. Questa era, probabilmente, la sua ultima occasione di fama e di gloria.

“Dottor Gennari, i condensatori sono al massimo della potenza e la spirale quantica comincia già a emettere radiazioni!”

La precisa disamina arrivava da Claudio Grandi, il suo fidato assistente già da diversi anni.

“Molto bene, cominciamo con mille di hertz di frequenza inerziale indotta”.

Al comando il giovane spostò un interruttore a relè avanti di una tacca.

Tutto l’apparecchio parve vibrare mentre un alone grigio nacque da esso e si allargò ad anelli concentrici nella stanza, quindi un flash luminoso e poi nulla.

“Dobbiamo avere sbagliato qualcosa”. Disse sconsolato Claudio

“Riproviamo, forse aumentando la potenza indotta alla spirale, otterremo qualche risultato”.

Claudio mosse l’interruttore di un’altra piccola tacca ma il risultato fu il medesimo. Tre tacche dopo all’inutile spettacolo luminoso si aggiunse un leggero sfarfallio delle luci dell’intero edificio e il baluginare pirotecnico di strani puntini biancastri. Ma il portale non si mostrava.

Il pomeriggio passò in altri tentativi infruttuosi, finché, alle sette di sera, stanco e demoralizzato dagli insuccessi, Arturo Gennari decise di portare al massimo la potenza della macchina.

“Non sarà pericoloso accumulare così tanta energia nei condensatori paralleli?”

Chiese preoccupato Claudio.

“Non abbiamo altra scelta, dobbiamo spingerci oltre altrimenti non riusciremo a valutare l’esatta portata del dimensionometro!”

L’uomo, seppur non convinto del tutto, cedette alla richiesta del suo capo e girò la rotella dell’interruttore al massimo, finché non raggiunse il fine corsa.

Attesero qualche secondo che i condensatori fossero completamente carichi, poi Claudio poggiò dolcemente il polpastrello su un piccolo bottone rosso.

“Vado?” Chiese.

“Così sia!” Rispose Gennari.

La pressione fu leggera ma sufficiente a innescare il contatto; questa volta però il lampo e gli anelli concentrici che ne seguirono furono di un abbagliante rosso porpora.

Per poco più di un istante l’universo come loro lo conoscevano sparì.

In quella stanza, proprio in quell’esatto momento, si riuscì, incredibilmente, a condividere lo stesso spazio-tempo con una dimensione totalmente diversa dalla nostra.

Ciò che i due scienziati riuscirono a percepire in quei fugaci attimi, furono le silhouette di due strane creature.

Quello che li spaventò, anzi, che li terrorizzò, non fu solo l’aspetto di quei due esseri, abbastanza diverso da quello umano, quanto che essi parevano essere esattamente i loro alter-ego.

La stessa posizione, la stessa postura e gli stessi movimenti del corpo, pareva proprio che fossero loro, sovrapposti in un altro universo.

Per un attimo ognuno di loro fissò negli occhi il proprio gemello dimensionale.

Il flash s’interruppe e tutto nella stanza tornò a come prima, l’unica cosa diversa era lo sguardo allibito due.

“Che cosa abbiamo visto?” Chiese Claudio ansimante.

“Non lo so. Credimi, non lo so proprio”.

Spensero tutte le apparecchiature in fretta e furia quindi uscirono dal laboratorio, ognuno prendendo la sua strada, silenziosamente, senza salutarsi, come se quella giornata non fosse mai esistita.

Nei giorni seguenti Arturo Gennari non arrivò neppure ad avvicinarsi al suo laboratorio; soltanto il mattino del quarto giorno riuscì a entrarvi, con Claudio che era andato a stanarlo nel suo appartamento.

“Dottore” Disse per convincerlo “Dobbiamo capire quello che è successo quella notte; se ciò che abbiamo visto era reale o solo il frutto di una nostra allucinazione”.

“Difficile averne avuta una uguale entrambi!” Fu la sua laconica risposta “Comunque hai ragione, Claudio. Dobbiamo andare a fondo a questa faccenda strabiliante”.

“Bravo! Così sia”.

Nei giorni a seguire la ricerca per ritrovare l’esatta misura vibrazionale divenne un’ossessione per Arturo.

Passava ore e ore a tarare ogni singolo componente presente nella macchina. Era profondamente convinto che fosse necessario rendere più stabile il segnale attraverso una maggiore carica ai due condensatori: ma quanta? Troppa, li avrebbe cotti come due wurstel. Poca e avrebbero solo sfrigolato invano.

Sfortunatamente per lui il chip impiantato nella “scatola nera” che doveva servire a memorizzare ogni azione dell’apparecchio, aveva salvato un range di misure troppo vasto per essere effettivamente utilizzabile. Claudio dovette ripartire in pratica da zero con i controlli.

Passò in quella maniera la settimana seguente, valutando ogni singolo dato. Finché qualcosa accadde.

Era notte fonda. L’intero edificio in cui si trovava il laboratorio era vuoto, solo la luce proveniente dalla sua stanza illuminava il buio nel parco esterno. Lo scienziato voleva continuare a cercare, la curiosità era divenuta più forte della paura. Claudio lo aveva lasciato ore prima, al termine di un’estenuante quanto improduttiva giornata di lavoro.

In quel preciso momento, mentre tutto era spento, avrebbe avuto accesso alla grande quantità di energia necessaria a stabilizzare per qualche minuto il varco dimensionale, se soltanto fosse riuscito a raggiungerlo.

Riteneva il momento propizio; il fatto di trovarsi completamente solo nella struttura gli forniva una sensazione di sicurezza, in caso di suo fallimento nessun altro avrebbe corso dei rischi.

Aveva già intuito la sera prima il valore frequenziale minimo necessario e con quel dato aveva tarato i condensatori ma non aveva detto nulla a Claudio, né a nessun altro. I rischi, se c’erano, voleva correrli da solo.

Sapeva anche che il fine scala del relè sarebbe servito solo per aprire un accesso ma che l’immenso fabbisogno di energia avrebbe compromesso la durata dell’esperimento. Per quello era lì, quella notte. Era sicuro che così, con una maggiore quantità di energia proveniente dall’esterno, il passaggio sarebbe risultato molto più stabile e duraturo.

“E’ il momento, vecchio mio” Disse tra sé per darsi coraggio “Adesso non puoi più tornare indietro!”

Regolò ancora qualche manopola quindi, sudato per la tensione, poggiò delicatamente il polpastrello della mano destra sul bottone rosso, senza però l’ardire di premerlo a fondo.

“Insomma, non essere pavido” Pensò “Questo è il momento più importante della tua vita, potresti guadagnarti anche il Nobel!”

Non seppe se questo sprone ne fu la causa, oppure una contrazione involontaria del dito, fatto sta che schiacciò quel pulsante.

Ancora una volta il crepitare dello strumento lo distolse dai suoi pensieri.

La scatola cominciò a vibrare, prima lentamente poi più freneticamente, fino a quando gli anelli concentrici cominciarono a formarsi e a spandersi nella stanza con continuità.

La luce che si formò era strana, un caleidoscopio di colori e gradazioni in cui predominava il rosso in tutte le sue sfumature. Tutto durò soltanto il tempo di un respiro, quello di varcare quasi inconsciamente quella flebile e iridescente soglia, poi il dimensionometro si spense nuovamente.

L’esperimento ha funzionato perfettamente! Pensò Arturo Gennari quando si rese conto di trovarsi all’interno di uno strano mondo alieno, angosciosamente simile all’inferno dantesco. Dopo l’iniziale stupore, una paura irrazionale lo afferrò alla gola: dov’era andato a finire?

Una strana sensazione s’impadronì di lui. Un malessere interno lo avvertì che probabilmente egli non era solo in quel luogo alieno.

Si guardò intorno, non c’era nessuno. Ma la fastidiosa impressione non solo non si placò, anzi, si acuì.

Diede un ulteriore e più approfondita occhiata in giro, meravigliato e spaventato.

Gli spazi erano completamente diversi da quelli che aveva appena lasciato, non era più all’interno di un edificio ma neppure al suo esterno.

A dire il vero qualcosa, come un velo semitrasparente, una sorta di foschia rossastra, impediva la ricerca del suo sguardo in lontananza. Non c’erano pareti ma era come se ci fossero.

Riusciva a malapena a orientarsi in quell’ambiente, anche se non aveva alcuna intenzione di avventurarsi distante, in quello strano mondo parallelo.

Poi qualcosa di ancora più sconvolgente accadde.

Accanto a lui, dove prima, era sicuro, non c’era nulla, comparve misteriosamente uno strano specchio.

Lo guardò meravigliato; era uno strano arredo, ovale e a figura intera, con una spessa cornice che ad Arturo parve molto bizzarra, forse eccessivamente eccentrica per i suoi gusti.

Era di uno strano metallo cremisi con bagliori sulfurei che ne delimitavano i contorni. Portava, in ogni più piccolo spazio della sua lustra superficie delle profonde incisioni raffiguranti figure grottesche. Quelli che l’iconografia cristiana rappresenta come demoni.

Dopo il primo istante di sorpresa lo scienziato provò istintivamente a specchiarsi in quell’oggetto.

Appena lo fece, le gambe cedettero di schianto per la sorpresa e si trovò accucciato a terra, ansimante per l’orrore di quanto aveva visto.

A peggiorare ulteriormente la situazione, udì una possente voce rimbombargli nel cervello.

“Alzati Arturo!” Ordinò questa perentoriamente “Non aver paura, non ti farò alcun male”.

Arturo rimase in attesa sul pavimento come intontito. Quella cosa conosceva il suo nome. Come? Perché?

“Forza!”. Reiterò imperativa la voce nella sua testa.

Raccogliendo a piene mani tutto il residuo coraggio che gli rimaneva, l’uomo lentamente si sollevò da terra, dando però le spalle alla misteriosa specchiera.

Decise che non avrebbe guardato la sua immagine riflessa. Almeno fino a che non fosse stato perfettamente in grado di gestire ciò che avrebbe visto. Chiuse gli occhi e si voltò faccia all’oggetto.

L’essere taceva, quasi comprendesse la necessità di Arturo di metabolizzare quella stravagante situazione. Quella quiete lo rassicurò, quel tanto che bastò perché decidesse un atto di coraggio: si girò.

Quando aprì gli occhi, l’immagine era ancora lì, e lo guardava in modo beffardo, con un ghigno ironico. Vide il riflesso di sé stesso completamente diverso da quello mai visto prima. Al suo posto, nell’esatto spazio che lui occupava c’era… qualcosa.

Un essere, magro e alto, con una strana carnagione terrea, gli occhi rosso fuoco e due grandi circonvoluzioni di corna ai lati del capo.

Sotto il mento spuntava una strana barbetta e, dal mucchio di peli ispidi che ricopriva il pube, i fianchi e il fondoschiena. Da questo spuntava una robusta coda liscia, come quella dei topi, terminante con la punta schiacciata a formare di freccia.

Quello è il diavolo Pensò terrorizzato Arturo.  Quasi avesse letto i suoi pensieri, l’essere rispose.

È esatto! Io sono un demonio, e tu sei all’Inferno”.

Ancora una volta il terreno mancò sotto i piedi dello scienziato ormai completamente stravolto.

“Come all’Inferno?” Rispose impietrito dal terrore. “Sono forse morto nell’esperimento?”

Il diavolo sorrise, sollevando leggermente gli angoli della bocca, in una smorfia che fece accapponare la pelle dell’uomo.

“No, non sei morto. Il tuo esperimento, al contrario, è perfettamente riuscito. Hai aperto un varco tra le nostre due dimensioni, così ci siamo finalmente conosciuti. Così facendo hai scoperto uno dei più importanti segreti del genere umano!”

“Quale?” Chiese laconico l’uomo. Non per superbia ma perché non aveva più una stilla di saliva in bocca per continuare la conversazione.

L’immagine nello specchio rispose con una domanda.

“Dimmi Arturo, tu credi negli angeli custodi?”

La domanda spiazzò il pover’uomo che, com’è logico supporre, era già nel più completo stato di panico.

Deglutì un paio di volte per idratarsi la gola riarsa ma non servì a nulla. Poi si fece forza della fede cristiana di cui era intriso e rispose, tutto di un fiato.

“Sì, assolutamente! Dio stesso ha voluto concedere a ogni uomo l’ausilio di una di quelle creature celesti, per guidarlo attraverso le peripezie della vita, aiutandolo a prendere le decisioni più giuste per sé e per il bene comune”.

“Bene, vedo che hai frequentato il catechismo con successo. Ti hanno indottrinato bene” Il demone allo specchio perse il suo sorrisetto sardonico e diventò di colpo serio. L’espressione accigliata spaventò ancora di più il povero Arturo. Il suo intero corpo si contrasse in un fremito incontrollabile.

“Adesso però voglio porti un’altra domanda: credi che se ciò fosse vero l’uomo non sarebbe in grado di riconoscere il male dal bene? E di agire secondo lo stesso per migliorare la propria vita e quella di qualunque altra persona?”

“Certamente!”

“E lo sta facendo?”

Un silenzio gelido calò nella stanza e nell’anima di Arturo. Aveva capito dove il diavolo volesse andare a parare e questo, proprio perché vero, lo demolì psicologicamente.

“Direi proprio di no!” Sussurrò.

“Lascia che ti racconti come sono andate veramente le cose. È vero, alla nascita dell’uomo, l’entità che voi chiamate Dio ha affidato ognuno di voi alle amorevoli cure dei suoi protetti, gli angeli. La schiera dei suoi più prediletti e fedeli servitori.

Quando però, ere fa, Egli vide la deriva intrinsecamente malvagia dell’uomo, temette che tanta cattiveria potesse corrompere i suoi beneamati”.

Un sorriso orgoglioso si dipinse sul terreo viso dell’essere altre lo specchio.

Decise quindi di unire le vostre anime e le vostre essenze a noi”.

“A voi?” Chiese incredulo Arturo.

“Certo, noi siamo coloro che vi sussurrano all’orecchio un consiglio quando avete scelte gravi da compiere. Siamo la piccola spintarella mentre siete indecisi sul da farsi.

Siamo i vostri alter-ego, come voi siete i nostri, i due piani dimensionali delle nostre esistenze sono collegati così strettamente da appartenere alla stessa porzione di spazio-tempo. Dio ha voluto così, che noi, già corrotti dal male e quindi incorruttibili alla vostra malvagità, vi accompagnassimo durante il vostro cammino”.

“Ma voi siete dei demoni!” Rispose Arturo bofonchiando e piagnucolando per l’agitazione “La nostra religione ci ha sempre insegnato che esistono soltanto gli angeli custodi”.

“Probabilmente questa cosa vi è stata detta per farvi dormire sonni tranquilli, oppure per evidente ignoranza dei vostri sacerdoti, ma, la verità, piaccia o meno, è che voi, come unici consiglieri avete noi.

Siamo i vostri demoni custodi, la vostra nera coscienza”.

“Tu menti” urlò Arturo “l’uomo è capace di cose tremende, hai ragione ma anche di cose nobili, e disinteressate”.

Il diavolo rise con un fragore tale che la superficie dello specchio si mosse e l’interno di quel nulla si riempì di quell’assordante rumore.

“Quello che l’uomo fa ha solo un fine, gratificare sé stesso. Anche nei gesti che sembrano i più disinteressati, si nasconde la crudeltà umana. Ho visto ragazzi girare il mondo per aiutare estranei e poi lasciare morire in solitudine la propria madre, senza una carezza, senza un addio! Ho visto patetici uomini che, in nome di un’inesistente giustizia, hanno costretto stati condiscendenti ad accogliere milioni d’immigrati, per poi fregarsene se questi hanno distrutto l’economia portando la fame e la miseria al suo interno, ho visto elargire la giustizia dei ricchi a uomini senza nulla, o cominciare guerre solo per un capriccio . L’uomo non fa mai nulla, se non per sé stesso. Lo sappiamo, glielo consigliamo noi!”

Lo scienziato Arturo Gennari cadde a terra, gli sembrava di impazzire. Tutto quello che gli avevano insegnato, tutto quello in cui aveva sempre fortemente creduto si era dissolto come neve al sole. Per lasciare spazio a una sconvolgente verità.

La voce tornò potente, superba.

“L’uomo è figlio del male, per questo, in tutta la sua storia, ha commesso crimini tanto abbietti da far inorgoglire noi, i vostri consiglieri demoniaci!”

Di colpo un pensiero interruppe tutto il resto, asciutto, categorico, indubitabile.

“Io so troppo vero?” Chiese rialzandosi.

“Purtroppo per te, si! Non possiamo permettere che tu riveli al mondo il nostro segreto. Se ciò accadesse e l’uomo sapesse che le sue scelte non sono frutto di un inesistente libero arbitrio ma dei nostri consigli, tenderebbe a non seguirli più cosi pedissequamente”.

“Ma tu mi avevi assicurato che non mi avresti fatto alcun male!”

“Povero illuso, tu ti fidi delle promesse del demonio?”

La mattina dopo Claudio Grandi ritrovò nel laboratorio il cadavere di Arturo Gennari distesa a terra, in una pozza di sangue, completamente dilaniato da quelli che parevano, essere gli artigli di una fiera.

La sua invenzione, il dimensionometro era a terra, distrutto in mille, piccolissimi, pezzetti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Cinquantasette anni e un sacco di e-book all'attivo, scrivo solo per passione e per appassionare, per dimostrare che si è sempre giovani per scrivere.

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