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Il tempo degli eroi è finito!

A dire il vero in questa mia versione della Terra neppure è cominciato visto che l’Umanità, da qualche mese, è stata invasa da ogni tipo possibile di mostruosità: vampiri e licantropi a frotte vagano nell’oscurità ma di giorno le cose non vanno molto meglio, visto che tutte le città sono piene da zombie, fantasmini verdi, alieni, mummie, mostri delle paludi e altre cose del genere.

L’uomo quindi, che quando non è cibo è pezzi di ricambio, si nasconde nelle proprie abitazioni, barricandosi con tutto quello che ha a disposizione.

Da dove siano arrivati questi orrori nessuno lo sa; c’è chi pensa all’apertura di un portale dimensionale, chi che siano arrivati dallo spazio, altri ancora postulano che i mostri siano stati portati sul pianeta da remote deità pagane: i Grandissimi Antichissimi Stronzissimi! Nessuno lo sa con certezza.

Il nostro “eroe” è un uomo comune spaventato che, al pari di tutti gli altri, passa il tempo barricato nella sua piccola cantina. In tempi non sospetti aveva adibito quello spazio a rifugio antiatomico. Come tutti i maniaci compulsivi catastrofisti aveva riempito ogni singolo spazio disponibile con scorte di acqua depurata e di cibo liofilizzato a lunga scadenza. Aveva aggiunto un generatore elettrico a pedali visto che era anche un ecologista. La scelta paradossalmente si rivelò vincente perché quello a gasolio avrebbe attirato attenzioni indesiderate e molto pericolose. In pratica aveva agganciato una dinamo alla ruota posteriore di una cyclette che ricaricava una coppia di batterie per auto.

Il rendimento non era un granché; dopotutto lui era un operaio, mica un ingegnere!

Così Al, questo il nome dell’uomo, pedalava tutto il giorno e per passare il tempo tra una pedalata e l’altra, leggeva i libri della sua biblioteca, anch’essa concepita per i lunghi tempi di noia post conflitto termonucleare globale e relativo fall-out radioattivo.

Almeno, quella era la sua intenzione, ma vista la fretta che quei mostri avevano avuto di catapultare il mondo nel caos, era riuscito a portare con sé solo due libri: “Guerra e pace” di Lev Tolstoj e “Twilight” di Stephenie Meyer.

Per settimane, forse mesi, Al aveva pedalato e letto Tolstoj ma adesso l’austero tomo era arrivato alla sua conclusione lasciando nel poveretto un misto di rammarico e di soddisfazione per il compimento dell’epico sforzo gonadiale: adesso era il momento di “Twilight”!

L’orologio a pile diceva che fuori erano le undici di sera, quindi come tutte le sere Al decise di ascoltare le notizie dal mondo esterno che rimandava il suo baracchino; consumava l’ira di dio ma gli era indispensabile per capire come le cose stessero evolvendo.

“Il grido di terrore del mondo” chiamava quel momento particolare

Dopo due ore di notizie sconvolgenti di urla di gente priva di ogni speranza e sbraiti di moribondi, decise di andare a dormire.

Il mattino dopo, quando si destò era buio visto che la batteria che raccattava l’energia residua del generatore a pedali si era scaricata. Capitava spesso perciò, con assoluta padronanza dello spazio, Al si alzò dalla sua branda, si frantumò l’alluce contro lo spigolo del comodino e diede una sonora craniata contro l’anta semiaperta dell’armadio, proprio sullo spigolo; un male cane, ma era la consueta routine.

Palpeggiando l’aria e mettendo prudentemente un piede dolorante davanti all’altro, arrivò alla cyclette. Aveva una fame boia ma, con tutto quel buio avrebbe potuto addentare qualunque cosa, anche un pacchetto di salviettine rinfrescanti.

Cominciò a pedalare, il volano prese velocità e l’energia prodotta accese il piccolo led, illuminando il triste rifugio. Al sapeva che, almeno per un’ora, era necessario continuare, tanto per dare alla batteria il tempo di accatastare un po’ di energia; poi lui avrebbe accatastato qualcosa nel suo stomaco.

Prese, per questa ragione, il libro che aveva poggiato sul treppiede accanto alla cyclette: Twilight, di Stephenie Meyer. Con una strana sensazione alla bocca dello stomaco lo aprì e cominciò a leggere.

Pedalava e leggeva, leggeva e pedalava, ma più leggeva e meno aveva voglia di pedalare tanto quel supponente libercolo incentrato sui nemici stessi dell’umanità era brutto.

Forse il libro era incantato ma più probabilmente qualche radiazione residua di buonsenso aveva permeato l’aria e, dopo Guerra e pace quella insipida lettura era oltre maniera patetica e surreale, e pensare di dover passare i prossimi mesi a pedalare e leggerlo e rileggerlo e pedalare, gli fece perdere i sensi!

Quando si riprese, parecchie ore dopo, si sentiva strano; aveva la convinzione che qualcosa in lui era cambiato, che la sua stessa natura fosse mutata. Sapeva, nonostante la razionalità insita a ogni essere umano gli urlasse il contrario, di essere diventato un supereroe, e sapeva anche quale fosse il suo potere; così si diede il nome: il Normalizzatore.

E cosa fa un supereroe che si rispetti? Salva il mondo e tromba la ragazza più bella della città; è una regola non scritta ma dannatamente vera, corbezzoli, e questo Al decise di fare!

Visto che come possessore di superpoteri era un novizio decise di testare questa sua nuova capacità all’esterno, un poco alla volta prima di lanciarsi nella sua crociata anti mostro.

Dopo mesi di stasi il portellone del suo rifugio cigolò e si lamentò parecchio prima di aprirsi e Al; il Normalizzatore fece il suo ingresso sul palcoscenico del mondo. Calzamaglie non ne aveva, macchine da cucire neppure, decise di improvvisare e di approntare la sua prima missione con una vecchia tuta da ginnastica blu elettrico che usava spesso per le sue pedalate.

Era giorno, questo escludeva una buona parte di mostri e il luogo dove era situato il bunker era in periferia, decisamente fuori mano, lontano dal centro della città che era diventato ormai un vero e proprio banchetto.

Si nascose dietro l’albero di noce che suo nonno aveva piantato quasi mezzo secolo prima; da acerbo alberello era diventato una superba pianta perfettamente in grado di nasconderlo a occhi indiscreti, per di più gli fornì anche un’arma improvvisata, un ramo nodoso che qualcosa aveva staccato dal tronco lasciandolo a seccare a terra.

Attese, prima o poi sarebbe passato qualche bizzarria, meglio se piccola e isolata.

In effetti, dopo un quarto d’ora arrivò un goblin, un essere peloso cattivo come il peccato e brutto come la morte con il suo muso zannuto e le grinfie affilate.

Cercava qualcosa da distruggere visto che questa specie di mostri avevano la ragguardevole abitudine di manomettere qualsiasi cosa di meccanico o elettrico: auto, ascensori, semafori o interi edifici.

Al attese, più per timore che altro, che il piccolo essere deforme s’allontanasse: non era ancora pronto e, prima di essersi autoconvinto del suo potere, era già buio.

Fu allora che notò un vecchietto traballare lungo la strada, quasi fosse ubriaco e questo spiegava dove avesse preso il coraggio di attraversare la notte senza paura; ma non era solo.

Il gruppetto di tre licantropi lo circondarono; erano giovani, si capiva dal pelo ancora cotonato ma comunque erano sempre dei lupi mannari enormi e feroci. Latrando e guattando si avvicinarono alla loro preda, che pareva non essersi reso conto del pericolo.

Al si fece forza e, all’urlo scaramantico di maccheccazzo si lanciò contro di loro, col cuore che batteva a mille e il cervello che gli stava dando del deficiente. Appena fu sufficientemente vicino al branco qualcosa successe, dalla sua figura s’allargò una strana aura di potere normalizzante che bloccò gli assalitori.

Pochi istanti dopo Al si trovò circondato dai lupi che si erano trasformati in cagnetti isterici. Due di loro persero subito interesse per la preda e tentarono di inchiappettarsi a vicenda. Il terzo invece, che probabilmente era il capobranco, si avvicinò con aria sprezzante e prima di andarsene, con solenne disprezzo, gli pisciò sui calzoni della tuta blu. Soddisfatto tentò la fuga ma non fu abbastanza veloce da evitare il calcione di Al.

“Sta bene?” Disse rivolto al vecchietto. Questi si voltò; a parte essere vecchio come Noè sfoggiava una carnagione questi trasparente che metteva faccia a vista una serie di arterie bluastre, aveva pure due canini enormi.

“Sei caduto nella nostra trappola!” Ringhiò il vampiro soddisfatto mentre si lanciava verso il nostro eroe; lampo di luce, botta di calore normalizzante e Al si ritrovò con un centenario attaccato al collo che gli stava facendo proprio un bel succhiotto. Al lo respinse con forza, un po’ schifato, e questi rotolò a terra come un sacco di immondizia mentre il suo cuore si spegneva per la seconda, e definitiva, volta.

“Questa volta mi è andata male” disse tra sé Al “riproviamo”.

 

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Alcano
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Cinquantasette anni e un sacco di e-book all'attivo, scrivo solo per passione e per appassionare, per dimostrare che si è sempre giovani per scrivere.

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4 Comments


  1. Caro Alcano o Alcàno, io di anni ne ho nove più di te ed ho iniziato a scrivere due anni fa.
    Eppure vedo che ad entrambi la fantasia adolescenziale non manca segno che l’età anagrafica è solo un numero.
    Dentro siamo ancora fantasiosi e creativi quindi chissenefrega di cosa c’è scritto sulla carta d’identità

    1. Alcano
      Alcano

      Chiamami come vuoi tu, accentami dove ti pare Brividogiallo tanto per me va sempre bene. Grazie per il bel commento, in effetti infantile lo sono sempre stato, diciamo che non ho avuto lo stacco della maggiore età…e di questo sono entusiasta, visto che mi ha lasciato, tra le altre cose quello stupore tipico di chi ancora non ha metabolizzato il brutto che c’è nell’età adulta. Per quello che riguarda la fantasia poi, ne ho da vendere. Buona serata.